Don Ubaldo, il prete col mitra in mano e nel mirino i nazifascisti

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"Ho sempre avuto almeno un mitra nella mia camera e lo sapevo usare: in caso di estrema necessità non avrei esitato, ma non ce ne fu mai bisogno": parole di un sacerdote, monsignor Ubaldo Valentini, insegnante nel seminario arcivescovile di Venegono nei tragici anni 1943-1945.

La testimonianza del sacerdote, che aiutò materialmente le azioni dei partigiani anche trasportando armi e documenti, è parte della straordinaria documentazione raccolta da Franco Giannantoni, storico del ventennio fascista, che in "La Tonaca e il fucile. Ribelli per amore e senza odio" apre una pagina interessante e poco nota sul contributo che il basso clero dette alla lotta per la Liberazione e alla formazione di una rete di protezione nei confronti di ebrei, militari fuggiaschi, perseguitati e antifascisti. "La motivazione ideale che ci faceva fare tutto ciò – racconta don Valentini nella sua testimonianza, risalente al 1983 – era evidente: è stata una scelta giusta allora la nostra, nonostante fosse quella della violenza, perché fatta meditatamente, con il pieno consenso delle autorità superiori. Per noi era un tipo di educazione alla libertà e produsse atti di notevole coraggio".

La Resistenza del basso clero lombardo, ben nota e accettata dal cardinale di Milano Schuster, si manifestò in svariati modi: con l’insegnamento e la testimonianza, con il soccorso materiale ma anche con vere e proprie azioni, compresa la organizzazione e la guida di spedizioni per fare espatriare in Svizzera i ricercati e gli ebrei. Alcuni sacerdoti furono anche arrestati e torturati dai nazifascisti. Le loro storie sono state ritrovate da Giannantoni nell’ambito di un vasto affresco che da decenni sta realizzando su vari aspetti della storia del fascismo, sul neofascismo e sullo stragismo.