Delitto Lidia Macchi, in aula il mistero dei vetrini spariti nel nulla

E' ripreso il processo a Stefano Binda accusato dell'omicidio di Lidia Macchi la studentessa trucidata con 29 coltellate la sera del 5 gennaio 1987

Lidia Macchi (Newpress)

Lidia Macchi (Newpress)

Varese, 15 settembre 2017 - E' ripreso questa mattina a Varese il processo a Stefano Binda accusato dell'omicidio di Lidia Macchi la studentessa trucidata con 29 coltellate la sera del 5 gennaio 1987. Al centro dell'udienza odierna il giallo dei vetrini, le "spatole" e le provette tutte  contenenti liquido seminale legato all'omicidio che avrebbero potuto e forse potrebbero ancora portare all'assassino di Lidia. L'interrogativo è uno solo: dove si trovano? Le domande sono emerse nell'udienza davanti a Corte d'Assise di Varese durante la deposizione di Vincenzo Pascali, direttore della medicina legale dell'Università Cattolica di Mialno che eseguì con l'allora direttore Angelo Fiori le analisi  disposte nel 1988 dall'allora giudice istruttore di Varese Gristina. 

Stando a quanto ricostruito due provette ricavate dai vetrini vennero trasmesse a un laboratorio nella cittadina inglese di Abington. La risposta all'epoca fu che il materiale non era sufficiente per poterne ricavare un dna. Solo un anno dopo però negli Usa fu messa a punto una tecnica molto più avanzata che consentiva l'effettuazione dell'esame. Esistono ancora queste provette? Dopo il test effettuato è possibile analizzarle nuovamente? Al teste l'avvocato di parte civile per la famiglia Macchi ha chiesto  se si abbiano notizie della "spatola" e dei vetrini da cui vennero ricavate provette. L'indagine era stata condotta mesi fa dal sostituto procuratore Gemma Guagli: la risposta fu che non se trovava traccia

Un altro teste della mattinata è stato don Stefano Alberto, docente di teologia alla Cattolica ed esponente di Cl. Ha ricordato la sua conoscenza con Binda avvenuta tra 1993-1994 e di come vennero segnalati a suo tempo i problemi di tossicodipendenza di Binda per cui era stato necessario un inserimento in comunità terapeutica. In risposta alle domande, il teste risposto su quelle che furono le reazioni all'interno di Cl all'indomani dell'arresto di Binda. L'atteggiamento fu quello di mantenere in ogni caso assoluta traspararenza anche nell'ipotesi dolorosa di un coinvolgimento di un appartenente al movimento.

(ha collaborato GABRIELE MORONI)