Il virus anche nelle lacrime: la scoperta dell’Insubria

Eco internazionale per uno studio coordinato dal professor Claudio Azzolini che ha verificato la presenza del Covid sulla superficie oculare

Claudio Azzolini, del Dipartimento di Medicina dell’Università dell’Insubria

Claudio Azzolini, del Dipartimento di Medicina dell’Università dell’Insubria

Varese - Ha avuto un’importante eco internazionale uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università dell’Insubria e dell’Asst Sette Laghi finalizzato a verificare la presenza del Covid sulla superficie oculare. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista medica "Jama Ophthalmology", ottenendo un ampio riscontro tra download, citazioni e tweet. Lo studio varesino ha permesso di riscontrare la presenza del Sars-CoV-2 nelle lacrime di 52 pazienti Covid esaminati su un totale di 91 (il 57,1%). A ideare e coordinare l’attività è stato il professor Claudio Azzolini del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università dell’Insubria. "La procedura di prelievo – spiega – è stata fatta al letto del paziente con delle spugnette apposite. Un lavoro svolto in modo molto accurato: questo è il motivo per cui abbiamo riscontrato il virus in un numero molto alto di pazienti, a differenza di altri studi". Al suo fianco hanno lavorato alla ricerca Simone Donati, Elias Premi e Andreina Baj. Hanno collaborato anche diverse strutture dell’Ospedale di Circolo di Varese, oltre che il rettore dell’Università Angelo Tagliabue e il presidente della Scuola di Medicina Giulio Carcano. I risultati dell’attività hanno fornito diversi spunti di riflessione.

«Abbiamo visto che il virus è negli occhi – continua Azzolini – probabilmente ci arriva tramite l’aria, anche attraverso il particolato atmosferico. Nell’aria inquinata possono trovarsi delle particelle con attaccato il virus". Si ipotizza quindi che le lacrime possano essere una porta di entrata per la malattia. «Dalle lacrime – continua il professore – il virus può raggiungere la gola e diffondersi verosimilmente nei polmoni". Ecco perché gli autori della ricerca ritengono che in alcune situazioni particolari indossare un paio di occhiali protettivi possa costituire una difesa in più. "Penso ad ambienti molto affollati e con scarso ricambio d’aria, come ad esempio la metropolitana", osserva Azzolini. Nel corso dello studio il virus inoltre è stato individuato anche negli occhi di pazienti per i quali il test nasofaringeo aveva dato esito negativo. L’uso del tampone congiuntivale potrebbe dunque costituire un esame supplementare per poter avere una diagnosi più precisa. L’attività di ricerca made in Varese non si fermerà qui: "Stiamo valutando la possibilità di studiare nei pazienti Covid tutti gli organi e apparati – conclude Azzolini –. Si tratta di una patologia da cui si guarisce spesso, ma non sappiamo cosa succederà di questi pazienti da qui a 6 mesi, 1 anno, 2 o più".