Albizzate, lacrime e rose sulle pietre: il tributo alle tre vittime

I lavoratori di via Marconi ricordano i terribili momenti del crollo del cornicione: "Abbiamo sentito il boato e siamo fuggiti dall’edificio. È venuto giù tutto"

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Ha un mazzo di rose bianche in mano, l’uomo è arrivato a piedi, in via Marconi, ad Albizzate: la strada è sbarrata, il marciapiede è ancora coperto dalle macerie, dopo il crollo di 73 metri di cornicione dell’edificio ex Bellora, dopo la ristrutturazione sede di altre attività, tra cui il ristorante Lo Sfizio e l’azienda in cui lavora il sindaco Mirko Zorzo, sfiorato dal disastro. L’uomo con le rose parla con i carabinieri che presidiano la zona, tenendo a distanza i curiosi. Vorrebbe lasciare quei fiori. Ci pensa uno dei militari, raggiunge l’area transennata e con gesto delicato lascia quelle rose, c’è già un’altra rosa, fiori, su quelle macerie che sono diventate la tomba di Fouzia, 38 anni, e di due dei suoi bimbi, Soulaymane, 5 anni e Yaoucut, un anno, una famiglia felice, che non c’è più.

Ringrazia i militari, l’uomo che ha portato le rose, e si allontana. Non vorrebbe parlare, poi, nascondendo gli occhi lucidi dietro gli occhiali scuri, trattenendo a fatica la commozione spiega: "Quel mazzo di rose non è niente, è una minima cosa, io e mia moglie abbiamo voluto ricordare quella famiglia distrutta, la mamma e i suoi bambini". La commozione è forte, poi aggiunge, cercando di superarla: "Mia moglie è viva per miracolo". La tragedia li ha sfiorati, continua l’uomo. "Lavora nell’azienda che ha sede nel capannone - dice - Ha visto il crollo". Poi ripete con il nodo in gola: "Salva, salva per miracolo".

Sotto le macerie sono rimasti Fouzia e i suoi bambini. Quel mazzo di rose bianche è una carezza che non potranno più avere. Arrivano in via Marconi Giovanni e Antonella Corradin, titolari con la madre Teresa Cogo del ristorante Lo Sfizio, che occupa una parte del capannone. "Mia mamma è disperata – dice Antonella – Siamo sconvolti, pensiamo alle vittime, la mamma e i suoi bimbi, pensiamo alla nostra attività, il crollo ha distrutto una famiglia e ha inferto un colpo devastante al nostro lavoro". Davanti all’ingresso ci sono ancora le macerie. "Eravamo in cucina io e mio fratello – racconta – abbiamo avvertito un boato ed è venuto giù tutto, in quel momento abbiamo pensato solo a uscire, non si capiva che cosa stesse accadendo, poi abbiamo visto". Il locale in serata avrebbe accolto numerosi clienti, dopo il lockdown l’attività stava riprendendo. "Se fosse capitato qualche ora dopo - conclude Antonella - sarebbe stata una strage". Fouzia abitava con il marito Noureddine Hannach, operaio in un’azienda meccanica e i tre figli in via Carso, un appartamento al secondo piano in una palazzina popolare, una strada tranquilla, poco distante dal luogo del crollo, un susseguirsi di villette con giardino. Arrivano alcuni amici di Noureddine, tra di loro Alì: "Ho incontrato Noureddine poco fa, è distrutto". Poi racconta il pomeriggio della tragedia: "Appena abbiamo saputo siamo corsi in via Marconi. Ho visto il figlio di Fouzia, il più grande, Adam. Era solo, immobile sul marciapiede, ho sentito il gelo dentro di me, ho subito capito che sotto le macerie c’erano la mamma e i suoi fratellini. Ha visto tutto, non riusciva a parlare". Alì racconta della drammatica telefonata a Noureddine.

"Era al lavoro - spiega - l’abbiamo chiamato per dirgli che cosa era accaduto, non avrei mai voluto vivere quel momento. È un mio amico, sono padre anch’io di tre figli, Noureddine è un papà che è uscito al mattino per andare al lavoro e quando è tornato a casa si è trovato senza la sua famiglia, ha perso tutto, è solo con l’unico figlio che si è salvato, provo un dolore grande, troppo grande". Alì e gli altri amici, fanno parte della comunità marocchina che vive ad Albizzate. "Gli staremo sempre vicini", dice con gli occhi lucidi.