Mariangela Pezzotta deve morire. È stata troppo a lungo legata ad Andrea Volpe, potrebbe avere appreso qualcuno dei misteri detenuti dalla setta di sballati omicidi che si fanno chiamare Bestie di Satana. Forse Mariangela sa qualcosa del segreto più terribile, la morte di Chiara Marino e Fabio Tollis, uccisi e sotterrati in una buca nei boschi di Somma Lombardo, la sera del 17 gennaio del ’98. Le Bestie hanno deciso: Mariangela morirà. Scelgono la sera di plenilunio del 24 gennaio 2004, affidano l’esecuzione ad Andrea Volpe. Con il pretesto di un filmato da restituire, Mariangela viene attirata nello chalet di Golasecca dove Volpe vive con la nuova fidanzata Elisabetta Ballarin, all’epoca diciottenne. Mariangela Pezzotta ha 27 anni. Volpe le esplode in viso un colpo di calibro 38. Elisabetta obbedisce supinamente al compagno. Vorrebbero seppellirla nella serra, ma la ragazza è ancora viva. In preda al panico, Volpe chiama al soccorso Nicola Sapone, oggi all’ergastolo. Mariangela Pezzotta viene finita a colpi di badile sul volto. A distanza di dieci anni Elisabetta Ballarin sta percorrendo una strada di rinascita.

Varese, 15 giugno 2014 - La ragazza vestita di bianco, lunghi capelli sciolti, lo sguardo dolce da miope protetto dalle lenti a contatto, non fa niente per trattenere emozione e commozione. Anche l’uomo alto e massiccio accanto a lei è commosso mentre le consegna la borsa di studio della Confcooperative di Varese e una targa ricordo. Si siedono a un tavolo, l’uomo stringe fra le sue le mani della ragazza, le parla a lungo, sommessamente, fitto fitto, gli occhi negli occhi. Elisabetta Ballarin e Silvio Pezzotta. Un padre e la giovane donna condannata a 23 anni per concorso nell’omicidio di sua figlia.

«Ho capito — sussurra Elisabetta — il valore della vita. Voglio essere la testimone che certe cose non devono avvenire, perché la vita è troppo importate». Silvio Pezzotta, grande cuore generoso, sportivo appassionato che adora il ciclismo e Fausto Coppi, si porta dentro una ferita lacerante, ma ha sempre sempre dichiarato di credere nel ravvedimento di Elisabetta, nel suo risollevarsi dopo avere attraversato tanto orrore. «Sono contento - dice il padre di Mariangela - di averlo fatto. Ritengo che quando una ragazza intraprende una nuova vita deve essere incoraggiata, spronata. Lo faccio nel nome di mia figlia. Sotto molti aspetti la rivedo in Elisabetta. Forse, se le cose non fossero andate in un certo modo, anche Elisabetta sarebbe finita come Mariangela, uccisa. Oggi Elisabetta è completamente diversa da quella di una volta. Quando avrà pagato il suo conto con la giustizia, per lei la mia porta sarà sempre aperta».

La Confcooperative Varese ha intitolato la borsa di studio a Cristina Lonardoni, la madre di Elisabetta Ballarin, morta lo scorso gennaio in un tragico incidente domestico. Il monossido di carbonio, sprigionato da una caldaia difettosa, aveva invaso la sua abitazione a Cuirone, frazione di Vergiate. Cristina Lonardoni era un’associata, faceva parte del consiglio provinciale di Confcooperative. Si era anche iscritta a scienze della comunicazione all’università di Varese, aveva sostenuto alcuni esami con esito brillante. Ogni anno, il 9 giugno, giorno del compleanno di Cristina, la borsa di studio verrà assegnata a un cooperatore o al figlio di un cooperatore o a uno studente che ha discusso una tesi di laurea sulla coooperazione.

La prima borsa di duemila euro va a Elisabetta Ballarin, oggi 29 anni, che sta compiendo il suo percorso di studi a Brescia ed è impegnata nello stage in un quotidiano cittadino. Cerimonia breve, intensa, negli uffici di viale Aguggiari. «Ci chiedevamo - dice Nicola Abalsamo, direttore di Confcooperative Varese - cosa potevamo fare per la figlia di Cristina. Abbiamo pensato alla borsa di studio. Quando Silvio Pezzotta ci ha risposto “Bene, lo faccio volentieri”, abbiamo capito di avere fatto la scelta giusta. Elisabetta ha già compiuto un lungo percorso. Ha chiesto la grazia. Adesso tocca al presidente Napolitano».

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