Busto Arsizio (Varese), 6 febbraio 2014 - «Il processo per l’omicidio di Meredith è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nino ha detto: ‘Ma come, questi hanno scannato una ragazza e si prendono 25 e 28 anni e mio fratello che è innocente è all’ergastolo?’». Si è trattenuta negli uffici della Procura di Busto Arsizio per chiedere dell’autopsia e di vedere il figlio nella camera mortuaria.

Quando scende le scale per avviarsi verso l’auto sotto una pioggia battente, chiusa nei suoi abiti neri, Maria Antonietta Lantone, in famiglia Antonella, è un grumo di sentimenti, rabbia, dolore, una specie di distorta fierezza quando parla del legame che ha unito fino alla morte i suoi figli: Domenico, l’ergastolano evaso, e Antonino, il fratello di un anno minore morto per restituirlo a una disperata libertà.

Tutto secondo un codice fatto di ragioni d’onore, di regole di sangue, di motivazioni psicologiche, lo stesso su cui pare poggiare il vivere della famiglia Cutrì. Si toglie gli occhiali, rivela il viso. Parla come se avesse bisogno di una sfogo. «Sarei andata anch’io a liberare mio figlio, in carcere per una condanna ingiusta». Una pausa. Un ripensamento. «No, cosa dico. Nino l’ha fatto per Mimmo. Lo adorava. Fra di loro c’erano soltanto tredici mesi. Erano come gemelli».

Allora non invita Domenico a scappare, dopo quello che il fratello ha fatto per lui.
«Sono contenta che sia libero, anche pensando al sacrificio di suo fratello. Ma sono sicura che se avesse la garanzia di un processo giusto si costituirebbe».

Perché pensa che suo figlio sia rimasto vittima di una ingiustizia? L’ergastolo per omicidio è stato confermato anche in Appello.
«A me spiace per quel ragazzo polacco ucciso, come mamma penso al dolore di sua madre. Però, a quello che ha sparato hanno dato sedici anni, a mio figlio l’ergastolo. Le pare giusto?».

La fratellanza, l’essere come gemelli.Troppo poco per spiegare questa tragedia.
«Nino aveva un complesso di colpa verso Mimmo. Se lo portava dietro. Aveva avuto un incidente, lo avevano seguito e lui, senza volerlo, li aveva portati dov’era nascosto Mimmo, a Milano. Era il suo tormento. Era come se volesse rimediare riportando il fratello in libertà».

Perché Mimmo viveva nascosto?
«Aveva solo 23 anni e veniva accusato di omicidio. Aveva paura».

Lunedì pomeriggio davanti al tribunale di Gallarate si sono presentati armati come per andare in guerra. Come si fa a dire che non volevano colpire, uccidere?
«Non volevano uccidere. Ne sono sicura. Nino, soprattutto, non voleva uccidere, aveva in mano solo la bomboletta urticante. Invece gli hanno sparato alle spalle, lo hanno preso qui, alla nuca. Nino aveva un chiodo fisso: voleva fare evadere suo fratello, in qualunque modo, anche con le lenzuola annodate. Doveva essere un’evasione clamorosa perché si parlasse dell’ingiustizia di cui era rimasto vittima Mimmo. Questo voleva Nino».

Come pensa che suo figlio viva queste giornate da uomo libero ma braccato?
«È disperato per la morte del fratello. Lo conosco. Non si dà pace perché il fatello si è sacrificato per lui. Sa qual è la mia paura? Che della vita non gli importi più niente ».