San Donato, 7 maggio 2013 - Giovedì, il 9 maggio, sarà il Giorno della Memoria in ricordo di tutte le vittime del terrorismo. Tra queste ci sono anche loro: Domenico Bornazzini, Carlo Lombardi e Piero Magri, uccisi per motivi politici da due terroristi di estrema sinistra, Maurizio Baldasseroni e Oscar Tagliaferri, il 1° dicembre 1978, all’uscita da un bar di via Adige, a Milano. A 35 anni di distanza da quell’episodio, per i famigliari delle vittime la ferita è ancora aperta. «Lo Stato non si dimentichi di noi», è l’appello.


Debora Bornazzini aveva solo sette anni quella notte maledetta. Quando suo padre, un commerciante allora 30enne, venne freddato a colpi d’arma da fuoco. Aveva sei anni Ivan Magri, figlio del tappezziere 29enne che morì a sua volta per mano dei due killer di Prima Linea. Per uno di loro, il sandonatese Baldasseroni, condannato all’ergastolo ma latitante da una vita, è stata ora avanzata la richiesta di morte presunta.


Dopo i tragici fatti del ‘78, Ivan e Debora hanno cercato di guardare avanti. E si sono ricostruiti una vita. Ma «il dolore è difficile da lenire. Lo sdegno e l’angoscia hanno accompagnato tutti questi anni - dice oggi la donna -. Solo da quando il Presidente Giorgio Napolitano ha iscritto mio padre tra le vittime del terrorismo ho potuto riappropriarmi della dignità che in un primo momento mi era stata negata».
All’inizio si parlò dei fatti di via Adige come di una strage avvenuta nell’ambito di una rissa. «Non è così – replica Debora Bornazzini -. Il triplice omicidio è scaturito a causa delle opinioni politiche espresse dalle vittime. Mio padre, Piero Magri e Carlo Lombardi furono assassinati a sangue freddo. I due assassini ebbero tutto il tempo per meditare l’uccisione».


Dopo la discussione, avvenuta all’interno del bar, i killer si recarono a casa di Baldasseroni per prendere le armi e, al loro ritorno in via Adige, trovato il locale chiuso, fecero il giro dell’isolato per verificare se gli uomini con cui avevano avuto da ridire fossero ancora nei paraggi. Li trovarono. E fecero fuoco. Con un fucile e una pistola.

«Nella mia mente di bambino i ricordi sono sfocati. Ricordo solo il trambusto di quei giorni concitati e l’atteggiamento di mia madre: per anni fece di tutto per proteggermi da una verità che mi avrebbe fatto male. Solo da adolescente ho saputo cos’era realmente successo», ricostruisce Ivan Magri. E aggiunge: «Oltre a causare un vuoto incolmabile, la morte di un padre ha pesanti conseguenze economiche sulla famiglia. Io, mia madre e mio fratello siamo riusciti ad andare avanti grazie all’aiuto dei nonni e di uno zio».


Ribattezzato come «la strage di porta Romana», l’eccidio di via Adige è tornato oggi di attualità. Un nipote di Maurizio Baldasseroni ha avanzato, tramite il proprio legale, la richiesta di morte presunta per quello zio che risulta scomparso dal 2002. L’intento è poter disporre di un appartamento cointestato al parente scomparso. «Rispetto le necessità pratiche di natura civilistica della famiglia, ma sto valutando col mio avvocato la possibilità di oppormi a questa richiesta», dice Debora Bornazzini, convinta che l’ex militante rosso non sia morto, ma ancora latitante. Nascosto, all’estero, forse con l’appoggio di qualcuno. «Alle istituzioni chiediamo di non considerare chiuso il caso, al contrario di proseguire le ricerche», aggiunge Magri. Intanto, si aspetta che alle tre vittime di via Adige venga intitolato il giardino pubblico di piazza Buozzi, a Milano. A poca distanza dalla zona della sparatoria.

 

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