Trezzano sul naviglio, 10 settembre 2011 - Trasferimento forzato di dodici profughi: scoppia la bagarre. Dodici dei trentasei rifugiati fino a ieri alloggiati all’Hotel Eur di Trezzano sul Naviglio, sono stati spostati nella struttura corsichese Hotel Naviglio Grande. Dopo gli screzi tra le varie etnie per decidere chi doveva andare e chi invece restare, dopo la protesta dei ragazzi del circolo familiare Libertà e Lavoro che hanno rivendicato il diritto di queste persone «a non essere trattate come pacchi postali», si è sfiorato il rischio che pur di non doversi dividere dai propri connazionali alcuni profughi rifiutassero la nuova sistemazione perdendo così lo status di rifugiato per diventare clandestino. Un pericolo che è stato scongiurato[/QNFIRMA] modificando la lista dei trasferimenti. 

Questa è la cronaca di una mattinata che ha riacceso i riflettori sulla dramatica situazione dei profughi della guerra di Libia. Sono bastati pochi chilometri (quelli che dividono l’albergo trezzanese da quello corsichese) a risvegliare stati d’animo mai cancellati, come la paura, il senso di abbandono e, soprattutto, quella brutta sensazione di incertezza sul futuro, anche quello più prossimo. «Improvvisamente, l’altro giorno - spiega Moahmmed Wajah – ci hanno detto che ci avrebbero trasferito ma nulla più. Per fortuna non ci sposteranno lontani». Vicino a loro, per salutarli ma anche per evidenziare un trattamento iniquio, ci sono i ragazzi che da tempo li seguono e cercano di agevolarne l’inserimento nel tessuto sociale.

«Non è umano trattarli così», dice Alice Pagna osservando attonita quanto sta succedendo. «Fino a ieri non sapevamo dove li avrebbero trasferiti – spiega Mattia Scolari – oggi siamo qui per dar loro la nostra solidarietà e ricordare che i nostri fratelli profughi sono delle persone con diritti e affetti da rispettare». «Il gesto umanitario dell’hotel Eur è quello di accogliere 36 profughi nel mese di agosto, quando l’hotel sarebbe rimasto vuoto e cacciarli quando iniziano le fiere e il turismo economico», denuncia una frase scritta nel volantino distribuito dal circolo familiare Libertà e Lavoro.

«In questi mesi, con molti di loro, abbiamo effettuato un vero e proprio percorso di integrazione – spiega Luca Gariboldi - oltre al corso di italiano, ci siamo occupati dell’assistenza medica facendoli sottoporre a visite specialistiche e li abbiamo aiutati a ristabilire contatti con i loro familiari in Libia o negli altri Stati africani da cui provengono. Non solo, li stiamo aiutando a ricostruire la loro vicenda e per alcuni abbiamo già fissato l’incontro in Prefettura per ottenere ufficialmente lo status di rifugiati. Trasferendoli in luoghi lontani, il nostro lavoro si annullerebbe costringendo tutti quanti a ricominciare da capo».

Da qui la richiesta del circolo di rivedere la lista fatta dal personale dell’albergo, lasciando sul territorio i profughi iscritti ai corsi di italiano. Intanto, nell’incertezza più assoluta, i profughi cercano notizie sul loro futuro ma anche sulla sorte dei loro parenti. «Non sappiamo nulla di cosa ci aspetta» dice Ibrahim Tanko, della nuova Guinea. «Le giornate le trascorriamo andando a scuola – racconta Abulai Hassan – e cercando su internet notizie sulla nostra nazione».