Smaltimento illecito di rifiuti, Ri-Maflow: "Non c'entriamo nulla"

A Trezzano il presidente di Ri-Maflow arrestato e i sigilli dei carabinieri a un capannone

Una delle manifestazioni di Ri-Maflow

Una delle manifestazioni di Ri-Maflow

Trezzano sul Naviglio (Milano), 27 luglio 2018 - «Non c'entriamo nulla con l'inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti per cui sono implicati gli altri soggetti. Rimaflow è nata proprio per creare e garantire il riciclo pulito contro le bande criminali». Luca Federici, uno dei fondatore di RiMaflow di cui cura la comunicazione e la promozione, non ci crede ancora. Pur non avendo un quadro completo ma solo le informazioni fornite dai carabinieri che, ieri mattina, di buon ora, hanno effettuato un blitz nello stabilimento mettendo i sigilli ad un capannone, ha ben chiaro quello che è il suo sentire e quello di tutti gli altri lavoratori della «cittadella dell'altra economia»: «Siamo innocenti. Massimo Lettieri deve essere rimesso in liberà».

Mentre lo dice lo sguardo si adombra. Massimo Lettieri, ufficialmente, è il presidente della Ri-Maflow, la cooperativa fondata dagli ex lavoratori in cassaintegrazione e che fa del riciclo e del riuso il suo core business. In realtà è un amico, un fratello con il quale i lavoratori hanno combattuto tante battaglie sia ai tempi di Maflow, nel tentativo di salvare l'azienda, sia recentemente con la nascita della cooperativa. Ieri è stato arrestato mentre era in vacanza in quanto responsabile della cooperativa e delle sue attività. Anche quella che riguarda lo smaltimento di un rifiuto speciale come la carta da parati. «Abbiamo una sola colpa – continua Federici - essere in attesa di un titolo di utilizzo di questo sito».

Infatti sono ormai sei anni che Maflow, il colosso delle componenti automobilistiche, è fallita. Da allora dei 320 lavoratori attivi ne sono rimasti 20 (oggi, con i nuovi ingressi, sono arrivati ad essere 80). Sono quelli che non hanno gettato la spugna, che con la forza e con i denti si sono aggrappati a quel capannone, considerandolo una sorta di risarcimento sociale. Sono partiti da li per ricostruirsi un futuro lavorativo e lo hanno fatto senza trascurare un aspetto importante: la solidarietà. Tra le varie attività svolte in via Boccaccio, infatti, c'è anche anche la collaborazione con Libera, la valorizzazione della filiera alimentare a km 0, la realizzazione dell'amaro partigiano e la creazione di un'economia solidale, capace di infrangere gli schemi del libero mercato basato sul profitto.

Eppure, sebbene le attività siano note a tutti, il processo di legalizzazione per l'occupazione del sito non si è ancora concluso. I tavoli sovracomunali sono stati avviati ma non è mai stato redatto un protocollo definitivo. «Ricavare materia prima dalla carta da parati è stata una sperimentazione sospesa qualche mese fa – prosegue Federici - A conti fatti, si è rivelata particolarmente onerosa e ci ha provocato una perdita, altro che guadagni. Per smaltirla correttamente separavamo la cellulosa dal PVC. Poi consegnavamo i materiali ai nostri committenti. Tutto è corredato da documenti di trasporto e dalle fatture emesse verso le aziende per cui effettuavamo il lavoro e a cui lo consegnavamo. Non sappiamo nulla dell'iter successivo di questi materiali». Non solo: per questa attività manifatturiera che la cooperativa di lavoro considerava la possibile chiave di volta, un filone che poteva garantire un salario e un lavoro ai soci-lavoratori, Ri-Maflow aveva coinvolto diverse autorità. «I nostri progetti li abbiamo portati avanti nella massima trasparenza – prosegue – e proprio in questo capannone abbiamo invitato a più riprese molti enti tra cui Città Metropolitana, Amsa e A2A. Abbiamo chiesto aiuto anche al politecnico: volevamo brevettare il macchinario».