San Donato, si sparò a sinistra e non era mancino. Suicidio del vigile killer, è mistero

Sparita l’arma della vittima. I bossoli non corrispondono

I carabinieri davanti al comando della polizia locale di San Donato

I carabinieri davanti al comando della polizia locale di San Donato

San Donato (Milano), 16 gennaio 2018 - Due uomini a terra. In uno spazio chiuso. Con un testimone che entra pochi istanti dopo gli spari e trova i feriti agonizzanti: uno è stato colpito in pieno petto, l’altro ha un foro sulla tempia sinistra. Omicidio-suicidio. Caso chiuso. E invece no. L’indagine sulla sparatoria al Comando della polizia locale di San Donato Milanese è ancora aperta. Ci sono almeno tre incongruenze nella ricostruzione ufficiale. Ecco i fatti. Sono le 15.07 del 29 giugno quando alla centrale operativa dei carabinieri di San Donato arriva una segnalazione per "avvenuta esplosione di colpi di arma da fuoco con conseguente ferimento di due agenti della polizia locale". I due feriti sono l’agente Massimo Schipa e il vicecomandante Massimo Iussa. La scena viene fotografata prima e dopo gli spari da un collega di Schipa, il vigile S.B. Il prima: Schipa e Iussa sono entrambi nello spogliatoio maschile, il secondo si sta lavando i denti. Il dopo: Iussa è a terra, con le gambe tremanti e le mani al petto, Schipa è steso a terra con evidente fuoriuscita di sangue dalla testa. Partono le indagini dei militari, che sentono a verbale impiegati e colleghi per inquadrare il movente di quello che ha tutte le caratteristiche di un omicidio-suicidio. Viene fuori che Schipa si sentiva vittima di mobbing da parte dei superiori e che aveva chiesto più volte il trasferimento ad altra sede. Tutto corrisponde. Tutto lascia pensare all’ipotesi della prima ora. Peccato che alcune cose non tornino, come evidenziato dai legali che assistono la vedova Schipa, gli avvocati Nicola Brigida e Marcello Gentili.

Innanzitutto, c’è una contraddizione certificata dalle analisi sulla pistola Glock di Schipa e sui due proiettili repertati dagli investigatori: la semiautomatica di ordinanza è munita di una canna "con 6 impronte di pieni di rigatura ad andamento destrorso"; e di conseguenza un proiettile esploso da quell’arma dovrà per forza riportare sulla sua superficie 6 impronte di rigature. Tuttavia, entrambi i proiettili andati a segno presentano "4 impronte di rigatura di canna". Com’è possibile? Per il professor Alberto Brandone, incaricato dall’avvocato Brigida di approfondire la questione, c’è una sola spiegazione: quei proiettili sono stati esplosi da un’arma diversa da quelle sottoposte a sequestro (quella di Schipa e la Glock dell’agente S.B. sopraggiunto poco dopo gli spari). Quale? A proposito di arma, quella di Iussa non è mai stata rinvenuta. Che fine ha fatto? Terzo particolare che non quadra: il foro d’ingresso della ferita mortale, da verbale di dimissione del pronto soccorso del Policlinico, è stato individuato nella regione parietale sinistra della testa di Schipa. L’agente, però, non era mancino. Se è vero che si è sparato, perché non ha puntato l’arma sulla tempia opposta come farebbe un destrimano? Domande che alimentano il giallo. Intendiamoci: di versione alternative non ce ne sono al momento. È vero anche però che gli accertamenti sono in corso per chiarire sia se la pistola di Iussa sia stata cercata (ed eventualmente trovata) sia l’anomalia legata alla non corrispondenza tra arma e proiettili. Dal canto suo, la vedova Schipa, Maria Teresa Dell’Anna, afferma: "Ho la speranza che la magistratura possa fare piena luce sulla tragedia. Per gli stretti rapporti di vita che avevo con mio marito, mi sembra del tutto incompatibile ciò che si dice accaduto".