San Donato, sparatoria al comando: "Mio marito era un bravo vigile"

La moglie dell’agente che uccise il vicecomandante: un uomo sereno

Massimo Schipa insieme alla moglie Maria Teresa Dell’Anna e al figlio Matteo

Massimo Schipa insieme alla moglie Maria Teresa Dell’Anna e al figlio Matteo

San Donato Milanese (Milano), 7 luglio 2018 - «Mio marito. Un uomo sereno, un padre felice». Maria Teresa Dell’Anna è la vedova di Massimo Schipa, il vigile di San Donato che il 29 giugno 2017, nelle stanze del comando di via Battisti, ha ucciso con un colpo di pistola il suo superiore, il vicecomandante Massimo Iussa, quindi ha rivolto l’arma verso se stesso e si è tolto la vita. Un gesto estremo, dettato forse dalla frustrazione, al culmine di una lite e dopo tante richieste di trasferimento cadute nel vuoto.

Finora la vedova Schipa si è tenuta lontana dai riflettori: mai una dichiarazione, un commento ufficiale. Se oggi, a un anno dalla tragedia, ha deciso di rompere il silenzio e dare corso al suo sfogo è soprattutto per suo figlio Matteo. «Che deve saperlo che suo padre non era solo un bravo padre e un bravo marito - scrive in una lettera -. Allegro, sempre carino con quel sorriso intenso che mi porta via il cuore, ancora oggi. Una brava persona. E un bravo vigile. Benvoluto dai suoi colleghi, dai suoi amici, ma anche dalle tante persone a cui gentilmente dava una mano o un’indicazione in caso di bisogno. Quante persone ha aiutato con la macchina ferma, una ruota a terra o perse senza la cartina? Banalità. Ma la vita è fatta anche di piccoli aiuti e grandi sorrisi. E mio marito sorrideva a molti, un gentiluomo di vecchio stampo».

Il ricordo del dramma è vivo, oggi più che mai, ed è una ferita aperta nella mente di chi quegli eventi li ha vissuti sulla propria pelle. «Non sono una donna vendicativa nè tantomeno amante della ribalta. La mia innata timidezza e riservatezza mi portano casomai a un rispetto condiviso del dolore delle altre vedove. Un marito è sempre un marito. Un padre, ha una famiglia. Ma dire che mio marito era depresso. No. Che non poteva portare la pistola. No». «Non voglio fare nessuna polemica - prosegue - ma solo difendere l’onore e il buon nome di un uomo, un servitore dello Stato, un cittadino. Ma soprattutto di mio marito Massimo, il padre di mio figlio, che non ha mai preso uno psicofarmaco in vita sua e, come confermeranno le molte persone che si sono spontaneamente offerte, a partire dal nostro medico di famiglia, di testimoniare in suo favore, era persona di natura gentile, premurosa, equilibrata e allegra».

Schipa faceva il vigile per passione, ma nel comando di San Donato non ci stava bene. Uno stillicidio d’incomprensioni, fino al drammatico epilogo. «Quel che è successo è terribile, ma di questo non dirò nulla, non sta a me giudicare. Io so già tutto quel che devo sapere. Ma anche mio figlio Matteo deve saperlo. Suo padre stava bene. Era un bravo vigile. Non era depresso. Era felice di vivere. A parte i problemi sul lavoro. La nostra era una vita piena e degna di essere vissuta. Era orgoglioso della nostra famiglia e di suo figlio». Le foto ci consegnano l’immagine di un Massimo Schipa allegro e sorridente, «ma ora il sorriso se n’è andato con lui».