Humanitas di Rozzano, il nuovo volto dell'anestesia

Il professor Maurizio Cecconi, medico e docente all'University, è un cervello di ritorno. "Così è cambiata questa specializzazione"

Il professor Maurizio Cecconi

Il professor Maurizio Cecconi

Rozzano (Milano), 19 agosto 2018 - Quando  Maurizio Cecconi parla di anestesia e terapia intensiva lo fa con passione. Due specializzazioni che vengono poco considerate, relegate alla dimensione pre e post operatoria, all’immagine di stanze buie, dove si può entrare solo per un paio di ore al giorno. "Una visione sbagliata, che abbiamo solo in Italia", spiega Cecconi, 41 anni, capo dipartimento di Anestesia e terapie intensive di Humanitas e professore di Anestesia e Rianimazione di Humanitas University.

La diversità tra l’Italia e gli altri Paesi la conosce da vicino: è stato per anni direttore di Terapia intensiva negli ospedali della St George’s University di Londra. In controtendenza alla fuga di cervelli del nostro Paese, Cecconi ha deciso di tornare in Italia: "Ho trovato in Humanitas una struttura allineata alla mia idea di medicina: unisce la clinica alla ricerca, con grandi potenzialità. Studi dimostrano che chi si impegna nella ricerca ottiene anche risultati clinici migliori". Le potenzialità riguardano "una nuova visione delle due specialità. L’obiettivo della ricerca in questi campi sarà concentrato su due progetti: il primo, un miglior utilizzo dei farmaci che potrà consentire l’identificazione dei malati a rischio e le manovre di intervento da mettere in campo in casi critici. Non bisogna considerare solo il successo tecnico di un’operazione, ma anche la ripresa di una buona qualità di vita del malato". Un esempio? "Bisogna scollarsi dall’idea che l’anestesista sia solo la persona che ti fa addormentare – spiega Cecconi –. Grazie alla sinergia con altri specialisti, si possono mettere in campo strategie vincenti. Un recente studio ha dimostrato che un esercizio fisico moderato prima di un intervento contribuisce al suo successo. Lo dico sempre: fare un’operazione chirurgica è come scalare una montagna. Bisogna preparare il paziente ad arrivare in cima".

Il secondo progetto riguarda la terapia intensiva: basta luoghi bui con accessi vietati ai famigliari. "Come succede all’estero, bisogna aprire i reparti. La presenza della famiglia al fianco del malato aiuta nella ripresa. E la luce, che regola i ritmi di sonno e veglia, contribuisce". Cambiamenti che stanno già avvenendo: "L’ospedale del futuro avrà sempre più malati acuti e meno cronici che sarà possibile, con le nuove tecnologie, seguire nell’ambiente domestico. Per questo – precisa Cecconi – la figura dell’anestesista avrà un ruolo sempre più importante. Un segnale che stanno recependo anche i giovani: sono sempre di più le iscrizioni a questa specialità".