Trezzano, RiMaflow: servizi sociali all'ex presidente Lettieri

Solidarietà e amarezza dai compagni davanti al tribunale

I dipendenti di RiMaflow davanti al tribunale di Milano

I dipendenti di RiMaflow davanti al tribunale di Milano

Trezzano sul Naviglio (Milano), 12 febbraio 2019 - Nove patteggiamenti, pene che vanno da un minimo di 24 mesi ad un massimo di 3 anni e 4 mesi, mezzi confiscati e aree da bonificare: è l’esito del processo nato dall’operazione dei carabinieri forestali che, a luglio, hanno smantellato un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti. Nei guai era finita anche RiMaflow, la cooperativa autogestita nata sulle ceneri di una fabbrica occupata. Per il suo legale rappresentante, Massimo Lettieri, ieri sono stati decisi due anni di reclusione che dovrà scontare tramite l’affidamento ai servizi sociali. «La posizione di Lettieri era diversa rispetto a quella degli altri imputati; per questo, pur avendo la stessa accusa di altre persone coinvolte, è stato condannato ad una pena inferiore. - ha detto l’avvocato difensore Paolo Cassamagnaghi - La Procura prima e il giudice poi hanno compreso il diverso ruolo e la diversa partecipazione di Massimo alla vicenda. Lo dimostra il fatto che hanno tenuto conto che il suo coinvolgimento è avvenuto nell’ambito delle attività sociali di Rimaflow che, da sempre, si occupa di creare nuovi posti di lavoro».

Il giudice ha stabilito anche il dissequestro del capannone C senza il ripristino dell’area e, tra 15 giorni depositerà le motivazioni della sentenza. «Nel frattempo – ha concluso l’avvocato – depositerò istanza di revoca di ogni misura cautelare». Dopo quasi tre mesi di carcerazione preventiva, dallo scorso mese di ottobre Massimo Lettieri è agli arresti domiciliari. «Sarà una gioia immensa per noi vedere Massimo libero – hanno detto i suoi compagni all’uscita del tribunale, dove gli hanno portato solidarietà - Gioia che avremmo voluto provare oggi stesso. Lo aspettiamo a lavorare con noi, perché il progetto Rimaflow deve continuare a vivere».

Ae da un lato c’è euforia per una scarcerazione imminente, dall’altro c’è rabbia. «Non è stata fatta giustizia, è prevalso il ricatto – spiega Gigi Malabarba a nome di tutti - Non è stato possibile infatti celebrare un giusto processo e dimostrare l’estraneità dall’accusa infamante del reato associativo. Avendo tutti gli imputati patteggiato, non c’erano le condizioni per fare il processo da soli: anni di dibattimenti e costi legali impossibili da sostenere, con l’aggravante di non poter neppure beneficiare degli sconti di pena disposti dal pm. I poveri, anche quando hanno ragione, possono solo stare in galera. Massimo paga per scelte che tutti noi di RiMaflow abbiamo fatto insieme per dare un lavoro e un reddito a chi è stato licenziato. Questa è la verità che il tribunale non consente di dimostrare e che conferma che la legalità senza giustizia sociale è una parola vuota».