Corsico, senegalese ucciso: i due volti di Assan

Per molti era "un gigante buono", ma c'è chi dice: "Frequentava brutti giri, avrà pestato i piedi a qualcuno"

Assan Diallo

Assan Diallo

Corsico (Milano), 18 giugno 2018 - Meno di trenta passi: sono quelli tra il bar e il marciapiede dove inizia il sentiero che si snoda tra i portoni dei palazzi di via delle Querce. Assan Diallo era al bar, nel quartiere lo chiamano bar Sergio, come il vecchio proprietario, anche se ora è l’Erica: dietro il bancone ci sono cinesi che di solito tengono aperto fino a tardi, ma che sabato sera hanno abbassato velocemente la saracinesca appena hanno sentito i colpi. Il giorno dopo però dicono di non sapere nulla. Un bar chiuso tre volte dalla questura, perché pieno di pregiudicati. 

Era lì Assan, lo hanno sentito urlare al telefono, una lite. Poi ha fatto quei trenta passi e lo hanno ammazzato. La calibro 9 il killer gliel’ha puntata al petto e ha sparato quattro colpi. Quando l’uomo alto quasi due metri si è piegato come una foglia, inginocchiato sull’asfalto, gli ha spinto la canna sulla testa e ha premuto il grilletto altre sei volte. Un colpo è finito nel marciapiede. Poi l’assassino ha nascosto la pistola in una cantina, a due passi da lì. L’hanno trovata i carabinieri di Corsico guidati dal capitano Pasquale Puca e dal tenente Armando Laviola che hanno iniziato interrogatori e perquisizioni nella notte, insieme al pm Christian Barilli, e li hanno finiti solo domenica pomeriggio. Nel quartiere qualcuno si lamenta di essere stato tenuto in caserma sette ore

I militari seguono una pista: omicidio dopo una lite, sullo scenario di ambienti criminali. Partono dalla pistola e sentono decine di testimonianze. I sospetti sono tutti su un uomo che non si trova, ma che avrebbe conosciuto bene la sua vittima e potrebbe aver agito con un complice. I militari escludono l’odio razziale come movente, di cui è sicura invece la moglie, ricordando una lite che il marito 54enne del Senegal aveva avuto con un italiano il giorno prima, al kebab di via Benedetto Croce, quartiere Tessera, dove Assan viveva con la moglie di Capo Verde e la figlia 13enne. Ci andava un paio di volte al mese, i ragazzi del chiosco lo definiscono "uomo d’onore, si faceva rispettare, lo insultavano perché era nero, ma lui reagiva anche alzando le mani, faceva arti marziali". Un ubriaco gli si avvicina, lo insulta, dice di essere il nipote di Mussolini. Assan reagisce: "Zitto o ti sparo" e l’ubriaco risponde: "Vediamo chi ti spara prima". Si picchiano, poi fanno pace. Ma Assan muore meno di 24 ore dopo. I militari tuttavia escludono collegamenti tra la rissa e l’omicidio, mantengono riserbo anche su quanto dicono in quartiere, che Assan era "legato a brutti giri. Sicuramente un regolamento di conti, aveva pestato i piedi a qualcuno". Al quartiere Lavagna, la roccaforte di palazzoni Aler, vecchi negozi con l’amianto sul tetto e le trappole per i topi sui marciapiedi, c’è anche chi lo ricorda come "un uomo buono, gentile, giocava con i bimbi, aiutava le anziane. Non ha mai fatto del male a nessuno". L’ombra delle brutte amicizie, della droga e dei soldi. Dall’altra parte il ricordo di un gigante buono che faceva del bene al quartiere