Gianluca Vialli e quella volta che disse "no" al Milan. E a Berlusconi

L’ex centravanti azzurro sembrava sul punto di vestire la maglia del Diavolo. Invece rimase alla Sampdoria, riuscendo a centrare uno storico scudetto

Probabilmente sapeva di avere una missione da compiere, portare allo scudetto un club che fino ad allora aveva vinto solo il campionato della simpatia. E forse avrà contato anche il gusto malandrino e un po’ eccentrico di sventolare un “no” davanti al viso di uno che non era mica tanto abituato a sentirsi opporre rifiuti, spesso svaniti a suon di milioni versati nelle tasche degli obiettivi di mercato.

L’oggetto del desiderio

Gianluca Vialli passerà alla storia del calcio italiano – anche – come il giocatore che scelse di rifiutare la corte di Silvio Berlusconi, allora solo presidente del Milan e non ancora leader di Forza Italia e presidente del consiglio. “Non posso andare a Milano perché non c’è il mare e io non posso vivere senza”. È questa la motivazione entrata nella mistica calcistica (realtà o leggenda? Magari un mix di entrambe) per spiegare il niet del centravanti doriano. Di certo la trattativa che avrebbe dovuto portare Vialli in rossonero è stato uno dei romanzi più avvincenti nella storia del calciomercato italiano. Abbiamo da poco scavallato la metà degli anni ’80. Sua Emittenza si è abbattuto sul mondo del pallone come un uragano. Ha rilevato un Diavolo poveretto e sull’orlo del fallimento. Vuole farne il club migliore e più vincente del globo. Per arrivare al traguardo il più in fretta possibile identifica il suo obiettivo principale nell’attaccante sampdoriano, che si è già guadagnato il soprannome breriano di “Stradivialli”, per lo strapotere fisico e le origini condivise con il celebre liutaio.

Quella voglia di mare

Inizia un corteggiamento spietato. La linea fra Adriano Galliani, plenipotenziario del mercato rossonero, e il presidente blucerchiato Paolo Mantovani è rovente. Gli abboccamenti del dirigente berlusconiano sinuosi. L’offerta è di quelle difficili da respingere. E infatti – si dice – il petroliere gentleman non rifiuta. I giornali parlano addirittura di accordo praticamente firmato. Alcuni quotidiani escono con il titolo “Vialli al Milan: è fatta”. I tifosi rossoneri fibrillano, i supporter sampdoriani masticano amaro. Manca solo l’assenso del calciatore. Che, in epoca pre legge Bosman e pre dittatura dei procuratori, pare scontato. Pare, appunto. Il bomber cremonese s’impunta. “Al Milan non ci vado”. Perché a Milano non c’è il mare, tramanderanno le cronache. In realtà sarà lo stesso Vialli a spiegare il gran rifiuto, a fine carriera. “C’era un grande senso di appartenenza alla Sampdoria. Io e i miei compagni avevamo stretto un patto che ci legava al club”. Un giuramento che avrà come frutto dolcissimo lo scudetto 90-91. Due anni dopo, nel 92-93, persa la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona, il centravanti azzurro lascerà Genova e si accorderà con la Juventus, riuscendo finalmente ad alzare la coppa dalle grandi orecchie nel 95-96. Ma questa è un’altra storia.