Giampiero Galeazzi e il tennis: "Sinner è forte. Berrettini pareva un rugbista, e ora..."

L'ultima intervista a Il Giorno del cronista appena scomparso: un viaggio sul filo della rete fra opinioni e ricordi

Giampiero Galeazzi a rete

Giampiero Galeazzi a rete

Ripubblichiamo l'ultima intervista concessa da Giampiero Galeazzi al nostro giornale. Era il novembre del 2019: lo storico cantore delle gesta di giocatori leggendari come John McEnroe e Boris Becker, fra gli altri, commentò per noi il momento di crescita del tennis italiano: Fognini, Berrettini e Jannik Sinner, allora ai primi passi della carriera e reduce dalla vittoria al Next Gen.

Ha raccontato il tennis in modo magistrale. Facendo innamorare di questo sport intere generazioni. Il sottoscritto compreso. Nelle telecronache delle sue partite metteva passione, con la sua inconfondibile, trascinante voce. Giampiero Galeazzi, 73 anni, segue ancora con attenzione il tennis e il momento d’oro del tennis italiano. "Quello che io in 30 anni di carriera non ho mai potuto commentare", si rammarica. Gli eroi di cui lui ha raccontato le gesta si chiamavano Connors, Lendl, McEnroe, Leconte, Edberg e Noah, gladiatori che con racchette di legno e poi in alluminio, si sfidavano tra maratone in campo e tocchi di classe. I suoi soprannomi (“Bum Bum” per Boris Becker - il suo giocatore preferito, non l’ha mai nascosto – o “Kalashnikov” per il russo Eugeni Kafelnikov) rimarranno nella storia.

Adesso le spade da sfoderare dalla borsa sono in graphene, la palla viaggia quasi come un Frecciarossa. E il Belpaese si ritrova con Matteo Berrettini al numero 8 della classifica mondiale e ammesso al palcoscenico delle Finals, Fabio Fognini al numero 12, otto italiani tra i primi 100 e soprattutto Jannik Sinner reduce dal trionfo milanese delle Next Gen con il quale è lecito sognare. 

Giampiero, segue ancora le partite e il circuito? 

"Abbastanza. Sia su Sky che su Supertennis ci sono tante opportunità. Ecco se devo fare subito un appunto ai miei colleghi di adesso, trovo i commenti troppo euforici. Anch’io tifavo, ma quando c’era da criticare criticavo. E non salivo sempre subito sul carro del vincitore".

Meglio il tennis di oggi o quello di Borg e Lendl?  

"Beh, io sono stato sfortunato a non aver potuto commentare italiani da top ten, ma ho vissuto il periodo di un tennis romantico, di rara bellezza. Ricordo Borg come vichingo imperturbabile, non sbagliava nulla. E John McEnroe che era l’esatto contrario, un americano nevrotico. I due si sposavano perfettamente. Certo comunque anche oggi campioni del calibro di Nadal e Federer sono da primo posto al Museo".

Di aneddoti ne avrà mille da raccontare...  

"Tantissimi. Ricordo ad esempio McEnroe che al ristorante chiudeva i pasti chiedendo un cappuccino al posto dessert. Io gli dicevo: ma come fai? Oppure di Borg che appena vinto il Roland Garros di Parigi andava a letto alle 21.30 perché doveva preparare il torneo della settimana successiva".

Torniamo all’attualità. Ha visto le Next Gen di Milano? Cosa pensa di Sinner? 

"Le ho viste. Sinner tira veramente forte, questo non ha paura di nessuno. Ogni tanto ancora si perde, ma è ovvio alla sua età. Mi sembra che stia tagliando tutte le strade e punti dritto all’Olimpo. Ha una spada infiammata. Differentemente da Seppi mi sembra anche che sappia sorridere di più. Se gli insegnano la volèe diventa completo".

Di Berrettini invece che idea si è fatto? Lo conosceva già bene visto che è di Roma?  

"L’avevo visto quando aveva 10-12 anni. Lui frequentava il circolo Corte dei Conti a Roma. Era già alto, ma sembrava più un corazziere o un giocatore di rugby. Poi l’ho perso di vista e me lo ritrovo adesso in semifinale agli Us Open".

Di Fognini cosa pensa? 

"Ha colpi da campione, ma è un talento sciupato dal nervosismo".

La settimana prossima torna la Coppa Davis, all’esordio nella nuova formula... 

"La Davis mi fa tornare alla mente tanti ricordi. Giornate memorabili. A Macejo in Brasile ad esempio. Oppure in India nel 1995 con Adriano Panatta che, mentre gli indiani stavano rispettando il Ramadan, si metteva a cucinare di tutto. Noi italiani facevamo tavolate e a un certo punto il direttore del circolo si avvicina e ci chiede se potevamo limitarci e nascondere il vino in teiere per non 'indurre in tentazione' la gente del posto. Ricordi bellissimi. Il fascino della Coppa Davis era anche questo: conoscere usi e costumi dei vari Paesi. Con la nuova formula e tutte le squadre in uno stesso posto questo si perde. E poi francamente giocare due set su tre...".