Milano, 26 gennaio 2021 - Le prime notizie hanno cominciato a circolare in serata. Notizie frammentate che rimbalzavano dall’altro capo del mondo, dalla costa ovest degli Stati Uniti dove era ancora mattina; notizie via via sempre più circostanziate e, soprattutto, confermate. Purtroppo. Kobe Bryant era morto in un incidente in elicottero, insieme alla figlia 13enne Gianna e ad altre sette persone. L’ex stella del basket, 41 anni, cinque volte campione Nba con i Los Angeles Lakers e due volte ore olimpico con gli Usa, non c’era più. Era morto un immortale, perché campioni e icone del calibro di Kobe questo sono, nell’immaginario collettivo. In quel 26 gennaio 2020, esattamente un anno fa, è rimasto sconvolto il mondo intero. Un mondo ancora “normale”, non ancora travolto dal coronavirus, che cominciava sì a far paura ma era ancora una cosa lontana, relegata alla remota Wuhan. La tragedia più grande, allora, non poteva che essere quella di Kobe, sua figlia e le altre sette vittime dello schianto in elicottero: John, Jeri e Alyssa Altobelli, Christina Mauser, Sarah e Payton Chester, Ara Zobayan. Una tragedia che ha toccato tutti, dai super appassionati a chi di basket non aveva mai visto una partita, perché tutti Kobe Bryant lo avevano sentito nominare almeno una volta. Le manifestazioni spontanee d’affetto che erano seguite i giorni successivi, in America e in Europa, in Asia e in Oceania, hanno testimoniato la dimensione planetaria del dolore. Dal palco del Super Bowl ai campetti delle Filippine, dallo star system hollywoodiano all’uomo della strada: ogni angolo di mondo sentiva di avere un pezzo di Kobe con sé e ogni angolo di mondo ha voluto omaggiarlo a suo modo. In questo lutto collettivo, l’Italia è stato uno dei posti in cui sono state versate più lacrime. Kobe Bryant era infatti cresciuto qui, dai 6 ai 13 anni, negli anni in cui il padre Joe militava nel nostro campionato. Reggio Calabria, Rieti, Pistoia e soprattutto Reggio Emilia le sue città. Quelle in cui è andato a scuola, ha imparato la nostra lingua, ha stretto le prime amicizie, ha cominciato a giocare a basket. L'Italia, insomma, è stato il posto in cui Kobe si è affacciato alla vita. Quella vita che sarebbe poi stata drammaticamente spezzata una trentina d’anni dopo, non prima però che potesse coronare il suo grande sogno: diventare il giocatore di basket più forte del mondo, uno dei più grandi di tutti i tempi. Un legame, quello con il nostro Paese, che Bryant non ha mai dimenticato ma, anzi, ha sempre coltivato, anche quando era ormai diventato una star planetaria. Un legame che lo stesso presidente Sergio Mattarella, la carica più alta dello Stato, aveva ricordato e sottolineato in un discorso un paio di giorni dopo la tragedia. Un legame ben saldo ancora oggi, più forte della morte.