Dall'Africa alla Lombardia: Adama, il capitano dei giovani campioni

E' da poco maggiorenne. Ha gli occhioni grandi e polpacci da atleta. Ma ha pure piedi buoni, talento e carisma

Adama viene premiato a Coverciano da Vito Tisci, presidente del SGS della Figc

Adama viene premiato a Coverciano da Vito Tisci, presidente del SGS della Figc

Lodi, 23 marzo 2019 - Adama è da poco maggiorenne. Ha gli occhioni grandi e polpacci da atleta. Ma ha pure piedi buoni, talento e carisma, tant’è che è lui il capitano della squadra dei “richiedenti asilo e rifugiati di Lodi, che sta difendendo in queste settimane il titolo (conquistato nel giugno scorso contro il Milazzo) del campionato italiano per minori stranieri degli S.P.R.A.R.

La storia di Adama, ragazzo ghanese scappato dalla propria terra per cercare un avvenire migliore, è molto simile a quella di tanti giovani africani, arrivati in Italia senza genitori, senza sorrisi, senza risorse economiche. Praticamente senza nulla. E Adama, come tanti suoi amici, ha solo una speranza: si appoggia ad un pallone, l’unico gioco che non divide ma unisce. «Sono arrivato nel 2016 dalla Libia da solo, perché avevo deciso di scappare dalla mia nazione - ci racconta in un discreto italiano -. Mio padre l’ho perso, la mamma è rimasta lì ed io sognavo di fare il calciatore. Quando sono arrivato mi hanno mandato prima a Reggio Calabria, poi a Potenza, e quindi a Lodi. La mia gioia è avere un pallone fra i piedi e qui mi hanno dato delle possibilità (anche la Juniores del glorioso Fanfulla, ndr), anche quando giocavo con gli amici sui campi in terra».

Timido e riservato davanti ai taccuini, deciso e illuminante col pallone fra i piedi. «Gioco da centrocampista, ho Verratti come modello e tifo Juventus, ma se c’è la possibilità vado a San Siro a vedere Inter e Milan. Uno stadio meraviglioso». Per il resto la sua vita è tutta casa, scuola e pallone. «Tre allenamenti a settimana, ma prima vado a scuola di formazione professionale. Certo, ogni tanto mi assalgono attacchi di nostalgia, mi manca non tanto la mia terra, quanto la mia mamma. E spero davvero che prima o poi possa raggiungermi qui...»

Riavvolge il nastro della sua vita Adama, quel viaggio drammatico passando dalla Libia dove ha sofferto di tutto: «Quando le autorità vedono un ragazzo nero chiedono soldi. E se non ce li hai ti mettono in carcere. A me è successo questo, avevo solo 15 anni. Per fortuna riuscì a chiamare casa, mia madre riuscì a mandarmi i soldi per farmi uscire da quella maledetta prigione che rischiava di diventare un inferno».

Ma non era finita. C’era l’ultimo, pericolosissimo viaggio da fare. Quello in mare. «Salì sul barcone con la paura di morire, ma non avevo scelta perché se fossi rimasto in Libia sarebbe stato molto peggio. E indietro non potevo tornare. Il viaggio fu terribile, con onde altissime e l’imbarcazione che prendeva acqua. Per fortuna arrivammo sani e salvi a destinazione».

Oggi  Adama è un ragazzo felice «ma soprattutto fortunato, perché qui in Italia ho trovato tante persone che mi vogliono bene. Vero, quando arrivai a Reggio Calabria avvertii un senso di rifiuto, la gente si scostava da me. Ma purtroppo il razzismo devi sopportarlo, non si può eliminare». Meno male che c’è sempre un pallone che riesce a mettere tutti d’accordo.