Difficoltà, dubbi e instabilità: la crisi del calcio lombardo

Varese, Legnano, Como: i segnali di declino gettano nello sconforto migliaia di appassionati

L’esultanza  dei tifosi del Como

L’esultanza dei tifosi del Como

Milano, 25 marzo 2019 - Le difficoltà del Varese calcio, i dubbi sul futuro del Legnano, l’instabilità del Como. C’era una volta il calcio lombardo, rappresentato non solo dai club della grande metropoli Milano, ma anche da tante altre squadre stabilmente nei professionisti, con società solide, ambiziose ed esemplari. Nella stagione 2002-2003 la Lombardia riuscì persino a presentarsi nella massima serie con cinque squadre contemporaneamente. Purtroppo soprattutto la provincia, causa “speculazioni“ di inaffidabili personaggi che pensavano esclusivamente al proprio interesse, negli anni ha finito per pagare la pessima gestione di improvvisate proprietà. Lo dicono i numeri: in Italia negli ultimi 33 anni sono state 175 le squadre del nostro calcio che non si sono potute iscrivere ai campionati professionistici italiani. Praticamente 5,8 club ogni anno, da 32 anni. Le regioni con più “perdite“ in assoluto sono Campania e Toscana che contano, dal 1986 in poi, ben 21 fallimenti nel calcio. Al secondo posto c’è la Lombardia con 17 squadre di calcio fallite (il Mantova per due volte) e non iscritte ai rispettivi campionati nello stesso periodo di tempo.

Insomma, segnali del declino che gettano nello sconforto migliaia di appassionati su un territorio da sempre ricco, florido e prestigioso dal punto di vista calcistico. Perché mentre a fatica Inter e Milan provano a scalare le vette della serie A nella speranza pure di tornare competitivi in Europa, ci sono altre realtà che continuano a soffrire e a galleggiare nella più assoluta incertezza. Vero, c’è chi da anni si affaccia dal balcone della nobiltà in serie A (la splendida Atalanta dei Percassi), c’è chi in B dopo qualche stagione molto complicata è tornato a lottare per la promozione per riprendersi il posto nei salotti buoni (il sorprendente Brescia “rinato“ con la gestione Cellino), c’è chi dalle serie minori prova a risalire (il Monza, ma pure il Lecco e il Como). Ma lo stato di salute generale è poco rassicurante. Basta analizzare il periodo che va dal 2002 ad oggi per comprendere: negli ultimi 17 anni sono fallite una dietro l’altra il Lecco (2002-2003), l’Alzano (2003-2004), il Meda (2004-2005), il Como (2005-2006) e poi, dopo qualche stagione di “tregua“ il Mantova, il Legnano e la Pro Sesto (2010-2011), il Rodengo (2011-2012), il Pergogrema e il Montichiari (2012-2013), la Tritium (2013-2014), il Monza e il Varese (2015-2016), il Pavia (2016-2017), il Como, il Lumezzane e di nuovo il Mantova (2017-2018). Senza dimenticare, come si diceva altre situazioni di precarietà del recente passato (Pro Patria e Seregno) o quelle del presente (come si diceva, soprattutto Varese). O di realtà, neppure tanto piccole, come Sondrio, dove la squadra da anni fa l’ascensore fra serie D ed Eccellenza. Senza altro tipo di ambizione.

Passo indietro per capire come mai siano arrivate tante difficoltà, al punto che pure rossoneri e nerazzurri, da sempre impregnati di milanesità, sono stati costretti a cedere a colossi esteri (pur con le “spregiudicate“ parentesi Yonghong e Thohir). Perché se le realtà più piccole avere “alibi“ economici, diverso è il discorso per le squadre che rappresentano città importanti. Per esempio il Lecco, che ora sembra finalmente aver trovato la serenità e le ambizioni sotto la guida del re delle slot machine, Paolo Di Nunno. Il club bluceleste (che nella sua storia ha militato tre volte in serie A e undici in B) finalmente è in lotta per tornare in serie C, dopo stagioni nerissime e travagliate anche a livello societario. Prima la presidenza-lampo dell’americano Joseph Cala, poi (dal 2014 in poi) quella di Bizzozero (finito nel mirino della giustizia ordinaria), quindi il fallimento.

Ma anche sull’altra sponda del lago non si sta benissimo. Solo nel giugno del 2015 il Como (13 stagioni in serie A) festeggiava il ritorno fra i cadetti, e invece al disastroso campionato in B ha fatto seguito il fallimento. Poi un lungo esercizio provvisorio e ad uno stato d’incertezza. Protagonista la vecchia società formata dall’ex presidente Porro e da altri soci lariani, finiti poi nel mirino della piazza per aver tolto al Como, prima del fallimento, la proprietà del centro sportivo e del marchio. Ma neppure l’avvento di una proprietà italo-americana più solida ha regalato certezze: mentre dal punto di vista sportivo la squadra vola, sognando il ritorno in C, i due soci azionisti di maggioranza Massimo Nicastro e Roberto Felleca, che detengono la proprietà della società lariana, hanno fatto intendere di voler lasciare. «Posso confermare che le offerte non mancano - le parole di un determinato Nicastro - e che l’intenzione è di garantire un futuro importante a questa società. La proposta più interessante e con cui stiamo approfondendo i contatti? Quella di una multinazionale».