Morte di Boniperti, Antonio Cabrini: "Fu lui a creare lo Stile Juve"

L'ex terzino sinistro bianconero ricorda il presidente: "Faceva sentire la sua autorità, ma trattava tutti allo stesso modo. Il Trap, una sua scommessa. Vinta"

Antonio Cabrini, primo a sinistra, con Giampiero Boniperti. Con loro Pin e Serena

Antonio Cabrini, primo a sinistra, con Giampiero Boniperti. Con loro Pin e Serena

Antonio Cabrini è stato una delle colonne di una delle Juventus più forti e vincenti che abbiano mai calcato i campi italiani e internazionali. Una squadra che fece incetta di titoli tricolori, europei e persino mondiali (l'Intercontinentale del 1985 alzata dopo la finale con l'Argentinos Juniors). Una macchina quasi perfetta plasmata dietro le quinte dalla mano di Giampiero Boniperti, il presidentissimo bianconero deceduto questa notte. Per Cabrini; fra i primissimi terzini sinistri dell'era moderna del pallone, capace di abbinare corsa, tecnica e pulizia nelle giocate, il dirigente simbolo dello Stile Juve fu un punto di riferimento nei suoi tredici anni in bianconero.

Che ricordo ha di Giampiero Boniperti?

“E' stato un grandissimo presidente. E prima di sedersi dietro una scrivania è stato enorme anche sul campo, da giocatore, con le sue quasi 500 partite in bianconero. Per lui fu semplice il passaggio da un ruolo all'altro. Da presidente capì subito quali fossero i meccanismi per diventare un dirigente di primissimo livello e per guidare una squadra importante come la Juventus. Ha davvero segnato un'epoca”.

Quanto faceva sentire la sua presenza in società e nello spogliatoio?

“Boniperti viveva di calcio. Di più, viveva di Juventus. Per lui il club bianconero era la cosa più importante che ci fosse. Il suo impegno con la famiglia Agnelli era solidissimo e il filo diretto con loro costante. Fu bravissimo nel fare da tramite fra la proprietà e i giocatori”.

Che rapporto aveva con i giocatori?

“Rovesciando un concetto che solitamente è da intendersi con accezione negativa, si può dire che fosse un buonissimo 'padre-padrone'. Sapeva dare consigli e sapeva essere vicino a me e ai miei compagni di squadra, ma era capace anche di fare sentire la sua autorità. Era perfetto nel farci comprendere i meccanismi del mondo del calcio”.

Aveva dei giocatori preferiti? Penso a lei o a Michel Platini...

“Una delle sue qualità principali era quella di trattare tutti allo stesso modo. Magari c'era qualche calciatore con il quale parlava di più, questo dipende dal carattere di ciascuno, ma nei miei tredici anni di Juventus ho potuto toccare con mano la sua forza nel gestire la squadra mettendo tutti gli atleti sullo stesso piano”.

Boniperti fu anche grande in campo. Dava consigli anche dal punto di vista del gioco?

“Sì, ma era attentissimo a non scavalcare mai l'allenatore. Sapeva alla perfezione quale fosse il suo compito ed era molto rispettoso dei ruoli”.

A questo proposito, come era il suo rapporto con Trapattoni?

“Erano molto uniti. Fu lui a sceglierlo per la panchina della Juventus nel 1976. Bisogna ricordare che all'epoca il Trap aveva smesso di giocare da pochi anni ed era reduce da una breve esperienza da tecnico del Milan. Rappresentò una scommessa di Boniperti, che fu bravo a vedere in lui le qualità dell'allenatore adatto a guidare una squadra che per ambizioni e carisma dei giocatori, parte dei quali aveva incrociato Trapattoni in campo, non era certo semplice da guidare. Possiamo dire che Boniperti vinse quella scommessa”.

Vi dava anche consigli fuori dal campo?

“Certo. Era prodigo di dritte su come comportarci sul rettangolo verde ma anche su come presentarci quando ci toglievamo casacca e scarpini da calcio. Lo 'Stile Juve', per lui, doveva essere vissuto 24 ore su 24”.

Era difficile “trattare” con lui?

“Era un presidente con il quale si riusciva a parlare senza particolari problemi. Allora non c'erano i procuratori e il rapporto fra giocatori e dirigenza era molto più diretto. Boniperti faceva, ovviamente, gli interessi della società, ma mi ha sempre trattato splendidamente”.

Come vi motivava?

“Essendo, di fatto, il creatore dello 'Stile Juve', faceva leva sull'orgoglio di militare per una squadra così ammirata. Una delle sue frasi preferite era 'Un anno in cui si arriva secondi è un anno da dimenticare'. Chi non aveva questa ambizione non poteva fare parte del gruppo bianconero”.

Fra le sue abitudini c'era quella di lasciare lo stadio alla fine del primo tempo. Soffriva veramente così tanto o c'era anche un filo di scaramanzia?

“Sono vere entrambe le cose. Avendo giocato, per lui era molto complicato seguire un match dagli spalti rimanendo tranquillo. Sull'altro fronte c'è da dire che spesso e volentieri quando Boniperti lasciava lo stadio alla fine del primo tempo si vinceva, quindi c'era anche una componente di scaramanzia”.

Quanto mancherà al mondo del calcio?

“Con Boniperti se ne va una delle ultime figure legate al calcio di una volta, quello della generazione dei grandi presidenti. Come Viola alla Roma, Fraizzoli all'Inter, Rozzi all'Ascoli e la famiglia Mantovani alla Sampdoria. Allora la società erano formate da poche personalità, ma tutte di grande carisma. E i legami fra i vari componenti di un club erano molto più solidi”.

Qual è il suo ricordo personale più bello legato a Boniperti?

“Ha sempre mantenuto tutte le promesse che mi ha fatto. Fra me e lui – e lo stesso accadeva ai miei compagni – c'era una sorta di patto. 'Tu dai tutto per la Juventus e la Juventus darà tutto per te'. Con Boniperti ho sempre saputo che, se avessi dato il massimo per i colori bianconeri, sarei stato sicuramente ripagato”.