Claudio Galimberti, il capo ultrà dell'Atalanta a fianco degli alluvionati delle Marche

Il Bocia, costretto a vivere lontano da Bergamo, ora alleva cozze vicino a Senigallia. Da giorni spala il fango nelle cittadine colpite dalla bomba d'acqua

Claudio Galimberti, alias il Bocia

Claudio Galimberti, alias il Bocia

"Pochi giorni fa abbiamo davvero visto l’apocalisse, ma ora non è il tempo delle chiacchiere, bisogna solo rimboccarsi le maniche. Non posso stare tanto al telefono, oggi sono a Bettolelle a dare una mano ad amici, ieri ero a Trecastelli, il giorno prima a Barbara. Dobbiamo aiutare questa gente che ha perso tutto...". La voce va e viene, il cellulare non prende benissimo nelle zone alluvionate delle Marche, ma Claudio Galimberti, storico capo della tifoseria atalantina, è lì, stivali di gomma ai piedi a sporcarsi le mani nel fango, in un territorio che ha imparato a conoscere e ad amare solo da pochi anni.

Dal giugno del 2017 il “Bocia“ (così è conosciuto nella curva della Dea e in tutte le tifoserie d’Italia) vive nella costa marchigiana, fra Marotta (dove è stato pure tesserato per la locale squadra di calcio) e Senigallia, proprio nell’epicentro colpito dalla tremenda alluvione che ha devastato la provincia di Ancona nella notte fra il 15 e il 16 settembre scorso. Di giorno lavora come allevatore di cozze, e la sera gestisce il Caligo Guercio, un rustico e piccolo peschereccio che attracca al porto preparando e servendo col suo marcato accento bergamasco piatti proprio a base di mitili cucinati alla marinara o arrosto. Doveva essere così anche una settimana fa, prima che scoppiasse l’inferno dopo la bomba d’acqua che ha colpito varie località.

Il Bocia in azione
Il Bocia in azione

E Claudio, insieme con molti altri, ammirevoli ultrà dell’Ancona e dell’Ascoli è stato fra i primi a munirsi di pala e spalare quella massa di fango e poltiglia accumulatisi vicino le case e ad aiutare le famiglie vittime della catastrofe. Ma lui, che negli anni è salito agli onori delle cronache solo per i “daspo“ ricevuti allo stadio (ma anche per ricorsi vinti e poco reclamizzati) e anche per questo costretto ad esiliare lontano dalla sua Bergamo, dimostra che il mondo ultrà è fatto pure di valori autentici e positivi, testimoniati dalla generosità e dal coraggio messi in campo in questi giorni drammatici. "Però credimi - dice in maniera decisa -, non serve pubblicità. Io ed altre persone abbiamo fatto quello per cui tutti i cittadini vengono chiamati in causa, che siano tifosi, artigiani comuni o pensionati della bocciofila o artigiani comuni: abbiamo fatto quello che era giusto fare, perché ce n’era bisogno. Perché c’è tanta gente che non ha più nulla".

Pausa. Il leader della curva atalantina ripensa a quanto accaduto in quelle ore drammatiche di quella che doveva essere una tranquilla sera di fine estate. "La notte dell’alluvione ero al lavoro. Lo sapete, per uno come me che fino a qualche anno fa ignorava la vita di mare, ora è cambiato tutto. La pescaturismo è la mia vita: avevo 10 clienti in barca, ma l’allerta dei vigili è stata molto tardiva... Nonostante tutto sono riuscito a far evacuare le persone che erano a bordo anche di altre barche, e quando a mezzanotte il fiume è straripato avevamo messo tutti in sicurezza. Meno male che molta acqua è finita in mare, anche se al porto arrivava tutto lo “scarico“, e così altre imbarcazioni rischiavano di affondare. Dovevamo intervenire subito, ho dato una mano ai pescatori e poi abbiamo dovuto richiamare i proprietari delle barche stesse. Nel frattempo l’acqua era ormai sopra la ginocchia, io e altri volontari ci siamo spostati nella zona piu alta fino alle 6 del mattino".

Ma uno come lui, la faccia identica a quella del logo del suo peschereccio (il classico barbanera con la bandana in testa che tiene schiacciati sulla fronte i capelli scompigliati) non si spaventa, il coraggio è sempre più forte della paura. Il Bocia però sa di aver visto "scene incredibili... Io ho amici conosciuti negli ultimi quattro anni e che hanno perso tutto. Perciò ogni giorno mi sposto in un posto diverso, portandomi dietro sacchi, scope, pale, secchi, guanti, stracci e stivali. Cerchiamo di dare una mano a scavare e a pulire, vogliamo portare conforto alle famiglie distrutte dal dolore e disperate, non possono essere lasciate sole".

E allora ecco che le sue braccia forzute e quelle mani rocciose scavano lì fra fango e lacrime, in quella terra diventata per lui un esilio forzato, ma anche un orgoglioso tentativo di costruirsi un futuro dopo che il passato e il presente gli sono stati cancellati da questori, giudici e prefetti, con il divieto di tornare a Bergamo. Se oggi il Bocia è a Senigallia a coltivare cozze e ad aiutare gli alluvionati è perché in fondo, dietro quell’espressione da duro come si richiede a ogni ultras, c’è un uomo buono e generoso. Che si è ormai adattato alla vita di mare e trascorre il suo tempo isolato su una barca sognando un giorno di poter tornare a casa sua. Sulla balconata della curva.