Coach Trinchieri: "Il Partizan è il mio appuntamento con la storia"

Sette stagioni fa ha riportato la Pallacanestro Cantù a giocare per lo scudetto, ha girato l'Europa tra Kazan, Nazionale greca e Bamberg e ora allena nella Mecca del basket continentale

Andrea Trinchieri (Foto Ansa)

Andrea Trinchieri (Foto Ansa)

Milano, 19 aprile 2020 - Il suo giro d'Europa è iniziato ormai 7 stagioni fa, quando dopo aver riportato Cantù a giocare per lo scudetto e in Eurolega, ha scelto di varcare i confini. Assente dalle panchine della Serie A, Andrea Trinchieri rimane comunque uno degli allenatori più quotati del nostro movimento cestistico. Ancora di più dopo le numerose esperienze all'estero tra Kazan, la Nazionale greca, il Bamberg e dal novembre 2018 il Partizan Belgrado. Il coach è riuscito a tornare in Italia dalla Serbia dopo una serie di avventure: « E' stato complesso prima si sono ridotti tutti i voli con l'Italia, poi sono stati chiusi i confini di tutti i Paesi balcanici, io tra l'altro ho giocato fino al 12 marzo con il Partizan, poi finalmente sono riuscito a rientrare, sono rimasto in quarantena da solo e infine sono tornato con la mia famiglia«.

Come vive questa situazione?

«Sicuramente è  qualcosa che ci ha preso a sberle, adesso abbiamo tutti un rapporto diverso con il tempo, non c'è più vita frenetica e assaporiamo di più tutto. Adesso quando al telefono chiedi a una persona come sta, lo fai per davvero«

Da fine 2018 allena a Belgrado, la Mecca della pallacanestro europea, che sensazioni prova?

«E' qualcosa di incredibile, è scioccante essere l'unico allenatore straniero nella storia del club, dà davvero la portata della missione da compiere e poi quando hai oltre 2 milioni di tifosi un po' di responsabilità sulle spalle c'è. In Serbia dicono che non fai il tifo per il Partizan, lo ami. Sono arrivato in un club dalla storia infinita, ma un po' malmesso, la cui unica idea era sopravvivere, avevano pensato che potessi trasmettergli un po' di energia e passo dopo passo devo dire che siamo cresciuti«.

Perchè una scelta così particolare per un coach con tante opportunità?

«Prendere questo lavoro è stata una pazzia, ma allenare per qualcosa di così speciale e storico vale davvero più di mille contratti. Era il momento di fare qualcosa che mi desse la possibilità di dare ancor più senso a tutto quello che avevo fatto prima. Avere l'hall of fame della pallacanestro in palestra è incredibile, ogni tanto vengono Danilovic, talvolta Divac, c'è sempre Paspalj. Il fatto che il mio nome sia stato fatto da Obradovic è un grande motivo di orgoglio«.

Cosa vede nel suo futuro?

«In questo momento faccio fatica a pensarci, non sappiamo cosa faremo il 10 giugno, figuriamoci nel futuro della mia carriera. Io sono aperto a tutto, mi nutro di motivazioni, il giorno in cui non avrò le motivazioni per fare il meglio di quello che posso, farò un'altra cosa. Senza confini ovviamente«.

Quale la città più bella nella quale ha allenato nel suo giro d'Europa?

«Milano è stupenda e negli ultimi 5/6 anni ha avuto un'accelerata clamorosa. Manca davvero solo il mare«.

Uno dei giocatori che ha fatto sbocciare nella sua carriera è stato Nicolò Melli, preso dopo l'esperienza di Milano al suo Bamberg. Cosa ha fatto di speciale?

«E' merito suo, è una delle persone più intelligenti che abbia mai incrociato nella mia carriera. Gli ho detto come lo vedevo, gli ho dato le chiavi e responsabilità, ma non gli ho promesso niente. Gli ho solo detto che avevo un ruolo per lui ed è stato fenomenale. Ora fa i numeri in Nba e io godo«.

Proprio l'esperienza in Germania è stata quella più lunga, 4 anni a Bamberg. Quali differenze rispetto all'Italia?

«Il modello tedesco fa la differenza, tutte le persone che lavorano nel basket hanno dei contratti veri. Quando hai solidità e gambe forti puoi correre più veloce. La Lega lavora in modo organico, senza liti da condominio come da noi. I parametri sono rigidissimi, se non paghi parte del contratto te lo paga comunque l'Inps tedesca, ma poi ti retrocedono senza appello. E' puro entertainment, noi abbiamo ancora l'animo latino in questo. Ecco, il parallelismo ci può essere invece sui giocatori, sono dei panda protetti anche lì e quindi c'è poca produzione, anche se hanno dei fisici importanti».

Molto più traumatica l'esperienza alla guida della Grecia. Quali ricordi?

«E' un posto complicato, devo dire, ma rifarei l'esperienza, è stata molto propedeutica alla mia carriera. E' veramente difficile allenare una Nazionale, è proprio una cosa diversa rispetto a quel che siamo abituati a fare».

Infine il giro dei ricordi si chiude con l'esperienza in Russia a Kazan. Cosa si è portato dietro da quella stagione?

«In Russia, in qualunque posto non arrivi mai. Quando penso alla Russia penso alla parola «grande». E' tutto dilatato. Le temperature sono incredibili, la luce particolarissima, i fusi orari strani. E poi c'è il basket».