Tormentoni estivi (e non). E questi te li ricordi?

Viaggio fra i pezzi che "non ti riesci a levare dalla testa" con il dj Lele Sacchi

Il dj Lele Sacchi

Il dj Lele Sacchi

Leggeri come la brezza marina, freschi come un ghiacciolo al limone ma anche, in alcuni casi, fastidiosi come la sabbia nel costume. Signore e signori, i tormentoni. Un genere a sé stante, ormai, pur nell'estrema varietà di suoni e arrangiamenti che ne hanno segnato la storia. Estivo, sì, ma capace di trascinare la sua onda lunga nelle altre tre stagioni. A presa rapida, certo, ma in qualche occasione sorprendente per la cura nella scrittura del pezzo o la ricercatezza dei suoni. Danzereccio, ovvio, ma anche da ascoltare allacciati in un bacio al partner dell'estate (o della vita). Il tormentone, qualsiasi tormentone, lo ami o lo odi. Difficile rimanergli indifferente. Ne abbiamo parlato con Lele Sacchi. Dj, conduttore radiofonico di diversi programmi su Rai Radio 1, già resident in una serie di club milanesi come - per citarne solo alcuni - Tunnel, Magazzini Generali e, ultima sua tappa prima della maledetta pandemia che ha ibernato le piste in un'immobilità che speriamo vicina alla conclusione, Apollo. Una chiacchierata conclusa con la sua personale "galleria" dei tormentoni, dagli anni '80 a oggi. 

Quali sono le caratteristiche che consentono a una canzone di affermarsi come tormentone?

"Se esistesse una formula  codificata probabilmente ne avrei realizzato uno anche io - scherza Sacchi, classe 1975, reduce dalla conduzione di Rai Radio 1 "Radio1 in campo"  - Dopo tutto se un tormentone resiste per anni le edizioni pagano bene. Comunque, più di tutto, un brano per avere successo come tormentone deve essere 'stra suonato' in ogni luogo che visitiamo, in modo da inchiodarsi nella testa di noi che lo ascoltiamo proprio perché lo sentiamo tantissime volte. Poi in genere ha una struttura riconoscibile, con un ritornello o un riff che ritorna più volte. E' difficile che un brano ambient o un pezzo puramente percussivo diventi un tormentone. Infine deve avere alle spalle un grande apparato di promozione. E' complicato che una canzone si affermi come tormentone partendo dal nulla, sulla scorta di un'affermazione virale".

Un tormentone può sopravvivere all'estate?

"Certo. Anzi, un tormentone 'doc' si afferma in estate fino a diventare quasi una 'rottura di timpani' ma resta sulla cresta dell'onda almeno fino all'inverno, sfruttando anche il collegamento con i ricordi delle vacanze".

Il cambio nei consumi della musica, con il passaggio dai supporti fisici come cd e musicassette a un ascolto più liquido, a base di musica scaricata o apprezzata direttamente in rete, ha influito su come si afferma un tormentone?

"La promozione era ed è un elemento fondamentale. Anche oggi, in un mercato che praticamente è basato esclusivamente sui singoli. Va detto che non è mai semplice capire quale canzone possa diventare un tormentone. Mi è capitato per esempio, come dj, di aver osservato la traiettoria di brani dance che, partendo dalla pista e in maniera quasi virale, rimanevano più in testa di altri e magari venivano anche fischiettati al di fuori dai club, senza poi però emergere e diventare un successo anche in ambito mainstream. Allo stesso tempo quando ho ascoltato 'Musica leggerissima' di Colapesce e Dimartino io, come altri, ho intuito subito che sarebbe stata una hit. Senza dimenticare che alcuni brani possono trasformarsi in tormentone anche mesi dopo essere stati messi sul mercato".

Passiamo ora alla sua personale galleria dei tormentoni. Quale ricorda negli anni '80?

"Sicuramente il primo che mi viene in mente è 'Vamos a la playa' dei Righeira. Risale al 1983, ma io l'ho sempre associato, in una sorta di 'coda' di un anno, al successo dell'Italia nel campionato del mondo 1982. Un po' perché era in spagnolo e gli azzurri avevano vinto proprio in terra iberica. Molti tormentoni poi sono legati a un video clip e all'attesa che allora generavano i video realizzati dalle grandi star, soprattutto se riescono a rispettare le attese che abbiamo nei loro confronti. Penso a 'Bad' di Michael Jackson, con il lancio del singolo e del filmato che lo accompagnava in contemporanea in tutto il mondo. Fu uno dei primi eventi 'global'. Canale 5, se non sbaglio, si accaparrò l'esclusiva per trasmetterlo. Il giorno dopo tutti conoscevano il pezzo e il suo video".

Negli anni '90, invece?

"Di quell'epoca vorrei ricordare una canzone ben diversa, che si è trasformata in tutt'altro tipo di tormentone. E' "Smells like teen spirit" dei Nirvana, uscito nel '91, un brano cui io e tutta una generazione di 'alternative', come ci chiamavamo allora fra noi, dobbiamo tantissimo. Smells like teen spirit e l'album in cui era inserito, 'Nevermind', permisero a un mondo considerato underground che univa sottoculture prima marginalizzate e un po' 'segregate' fra loro stesse, di uscire allo scoperto e di iniziare a comunicare e contaminarsi. Quella generazione di adolescenti, grazie anche ai Nirvana, iniziò a unire nei loro ascolti rock, rap ed elettronica. Quando Smells like teen spirit diventa una delle canzoni più trasmesse dell'epoca si afferma anche l'interesse del mondo per tutto quello che è sottobosco. Oggi fenomeni come tatuaggi e skate sono dati per scontati, ma allora abbracciare certe tendenze era una scelta di rottura, anche all'interno delle famiglie. Sempre degli anni '90 voglio citare 'Gypsy Woman' di Crystal Waters. L'house all'epoca era già esplosa ed erano usciti brani forti anche dal punto di vista radiofonico, ma Gypsy Woman con il suo ritornello (chi è stato giovane negli anni '90 ricorderà sicuramente l'ipnotico 'La da dee la dee da') divenne rapidamente un pezzo che sapeva a memoria anche chi magari non aveva ancora l'età per frequentare discoteche o club e doveva limitarsi a ballare in spiaggia. La vocalist non ha replicato quel successo, ma dietro il brano c'erano i Basement Boys, un team di produzioni house con i fiocchi che, con Gypsy Woman, dimostrarono che su una musica come quella ci potevi mettere quello che vuoi, tirandone fuori una hit".

Nuovo secolo: che brani cita degli anni 2000?

Il primo che voglio ricordare è 'Can't get you out of my head' di Kylie Minogue, del 2001. Un caso di 'metatormentone' potremmo dire, se si bada al titolo (che in italiano suona come 'Non riesco a levarmiti dalla testa'). Ciò a cui Kylie non riesce a smettere di pensare, nel testo del pezzo, è sicuramente una persona ma, sul piano dell'ascoltatore, quello che non si leva dalla testa è il brano stesso. Riguardo questa canzone è interessante sapere che ha 'germogliato' un interessantissimo effetto collaterale, il libro realizzato da Paul Morley, uno dei giornalisti musicali inglesi più importanti della storia, in italiano intitolato "Metapop - Storia del pop dal big bang a Kylie Minogue". Nel volume Morley affronta l'intera storia del pop, con la sua scrittura piuttosto lisergica, utilizzando come tema conduttore proprio Can't get you out of my head. Un libro dall'estremo spessore culturale in cui le hit del pop vengono associate alla musica classica, ad autori come Baudelaire e alla filosofia. Sempre negli anni 2000 non possiamo dimenticare 'Happy' di Pharrell Williams, del 2013, che ha avuto una vita lunghissima, quasi due anni, potendo contare anche sull'effetto volano dell'inclusione nella colonna sonora di 'Cattivissimo me 2'. E sempre con la voce di Pharrell Williams ha avuto un successo incredibile 'Get lucky' dei Daft Punk, sempre del 2013, che poteva vantare anche la collaborazione di Nile Rodgers degli Chic. Ecco, prima dicevamo che non c'è una formula magica per costruire una hit o un tormentone, ma diciamo che se metti insieme i Daft Punk, Pharrell Williams e Nile Rodgers parti già più che discretamente".

E oggi? Qual è lo stato dell'arte dei tormentoni?

"Sopravvivono senza problemi, seppur con qualche variazione. Attualmente c'è una grande attitudine alle hit cantate - e composte - in italiano. Colapesce e Dimartino in primis. Ma anche 'Soldi' di Mahmood. O i pezzi sanremesi di Coma Cose e Maneskin. Oggi il mercato si è senza dubbio ridotto anche geograficamente. Va di più un approccio 'local', il che è curioso in un mondo globalizzato, dove i ragazzi parlano con maggiore facilità l'inglese. Pesa anche che alcuni degli esponenti dell'industria discografica italiana mainstream attuale, alcuni dei quali vengono dal mondo indie, abbiano imparato a scrivere canzoni molto orecchiabili e che si possono cantare sotto la doccia, per usare uno stereotipo. E' la generazione premiata con l'ultima edizione di Sanremo, il cui parterre era composto da molti nomi nuovi, almeno a livello di un evento di massa come il festival".