Perché l'Oscar 2021 sarà donna (e multietnico)

Chloé Zhao favoritissima per diventare la seconda donna a vincere nella regia. E tra gli attori potrebbe non esserci un bianco

Chloé Zhao, favoritissima regista di Nomadland

Chloé Zhao, favoritissima regista di Nomadland

Lina Wertmüller, 1977, "Pasqualino Settebellezze"; Jane Campion, 1994, "Lezioni di piano"; Sofia Coppola, 2003, "Lost in Translation"; Kathryn Bigelow, 2010, "The Hurt Locker"; Greta Gerwig, 2018, "Lady Bird". Cinque registe, cinque donne: le uniche nei 92 anni precedenti i prossimi Oscar, a essere state nominate come migliori registe. Cinque nominate, una sola vincitrice, Kathryn Bigelow. Non ce l'hanno mai fatta le storiche apripista (Ida Lupino), le commedianti intelligenti (Elaine May) né le artigiane di lusso (Mimi Leder). Non ce l'hanno fatta le autrici di importazione (Gillian Armstrong) né le americane col gusto della battuta (Amy Heckerling) né le grandi signore europee (Varda, von Trotta, denis, Ullmann). Non ce l'ha fatta, e questo dice tutto, neanche Barbra Streisand alla quale è stato negato quanto concesso a Robert Redford, Kevin Costner, Megl Gibson... Quando nel 1992 "Il principe delle Maree", tra i pezzi forti dell'anno, finì candidato come miglior film, ma lei venne esclusa dai registi in nomination, Billy Crystal, allora conduttore della serata, dovette includere il paradosso nel suo numero msuicale. E fu proprio Barbra a premiare Kathryn Bigelow, annunciandola con un "Time has come".

Le candidate

Il tempo è arrivato, ma raramente è tornato.  Si spiega così l'eccezionalità della 93esima edizione degli Academy Awards che si terrà il 25 aprile al Dolby Theatre di Los Angeles: due donne registe nominate non si erano mai viste. Una sarà l'attrice-regista Emerald Fennell che in "Una donna promettente" regala un gran personaggio a Carey Mulligan. L'altra è Chloé Zhao, la regista di "Nomadland": è la favorita, vincerà al 99%, è stata consacrata dalla Dga (il sindacato dei registi) e sarà la prima donna di colore (è sino-americana) a vincere. Un premio annunciato, che sa un po' di risarcimento (peraltro doveroso) per quel "tetto di cristallo" che neppure la Hollywood liberal e progressista riesce a infrangere.

Le difficoltà

Quel che colpisce nell'elenco delle registe nominate non è solo lo scarso numero, ma il fatto che nessuna di esse compaia due volte. Quando Bigelow è uscita con "The Hurt Locker" era una regista di culto da vent'anni: "Point Break", "Strange Days" tanto per citare un paio di titoli. Dopo l'Oscar girò "Zero Dark Thirty", forse uno dei titoli  più tesi e lucidi degli ultimi anni. Film nominato, lei no. Idem Greta Gerwig, accolta nel ristretto club con il suo film di debutto, poi osannata dalla critica ma esclusa per lo sforzo successivo, l'adattamento di "Piccole donne". Infatti, sembra che sulla strada delle registe l'ostacolo maggiore, non solo negli Usa, sia "la seconda volta": un grande premio, un successo commerciale, un festival non bastano. Anzi, poi vanno confermati. Un fiasco non si perdona (si pensi a Elaine May e al flop di "Ishtar"), un passo falso neanche (la stessa Jane Campion, l'Autrice con la a maiuscola, ha pagato caro la non riuscita commerciale degli ultimi lavori). Patty Jenkins, classe 1971, nel 2003 ha fatto vincere l'Oscar a Charlize Theron con il piccolo "Monster". La seconda regia è arrivata nel 2017, 14 anni dopo. "Wonder Woman" certo è stato un grande successo, negli Usa inopinatamente anche di critica. Il sequel è uscito a Natale solo su piattaforma, causa pandemia ed è stato perlopiù stroncato. E ora? E' subito bivio. E l'elenco sarebbe infinito.

I numeri

E' un  tale meccanismo causa-effetto, per una sola metà del cielo, che Penelope Spheeris, regista tra le altre cose del demenziale "Fusi di testa" del 1992 e ormai fuori dai giri che contano, pochi giorni fa raccontava a Variety che "non so più neanche io se Hollywood mi ha tagliato fuori o se sono stata io a lasciare". D'altra parte l'Europa non ride: nel corso di un convegno Eurimages all'ultima Mostra di Venezia, una serie di ricerche hanno dimostrato che si è passati da uno striminzito 11% di film diretti da donne alla quota del 20% nel biennio 2017-2018. Per l'obiettivo 50-50 si potrebbe dover aspettare qualche decennio ancora. Che poi si parli di blockbuster o di film da premio, non sfugge il meccanismo regista donna-protagonista donna. Secondo "It's a Man's (Celluloid) World", uno studio di Martha Lauzen, fondatrice del Center for the Study of Women in Television and Film, dei 100 film campioni d'incasso nel 2020 solo il 29% aveva ruoli da protagonista affidati a donne. E, cosa incredibile, nel 2019 si era arrivati a un onorevole 40%. E così nella cinquina degli Oscar donne sono le protagoniste di "Nomadland" e di "Una donna promettente", dirette da.... donne.

Barriere etniche

Ma l'Oscar 2021 sarà inclusivo anche da un altro punto di vista. Per la stessa ricerca di Lauzen nel 2020 il 71% dei personaggi femminili dei film Usa sono stati bianchi, il 17% afro-americani, il 6% ispanici e asiatici. E la maggior parte dei ruoli femminili rientra nella fascia d'età dei vent'anni (24%). Bene, quest'anno non sarà improbabile, anzi sarà molto probabile, che fra i vincitori delle quattro categorie della recitazione (attrici e attori protagonisti, attrici e attori non protagonisti) non ci sia neanche un  bianco. Un po' per la spinta dei movimenti antirazzisti, un po' per quel senso di colpa misto al politically correct che permea il dibattito americano, molto invece per la forza di alcune interpretazioni e di alcuni film,  questo risultato potrebbe arrivare e superare quel 2002 in cui trionfarono insieme Denzel Washington e Halle Berry. E chissà se Yuh-Jung Youn, la favorita attrice coreana di "Minari", ripeterà qualcosa di simile a quanto detto quando le è stato consegnato l'inglese Bafta: "Grazie, premio importante visto che gli inglesi sono noti per essere snob...". Se si batte lo snobismo, si potrà anche sfondare il cristallo.