Moni Ovadia e Dario Vergassola: la strana coppia al Teatro Manzoni

Lunedì alle 20.45 insieme per "Un ebreo, un ligure e l’ebraismo"

Moni Ovadia e Dario Vergassola

Moni Ovadia e Dario Vergassola

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Milano - Moni Ovadia e Dario Vergassola: la strana coppia. Che uno pare l’immagine della saggezza. Sarà la barba o quello sguardo vivo, così ironico. L’altro ha sempre riso di sé stesso e del mondo, con la chitarra in mano, dalle parti della satira. Eppure domani alle 20.45 sono insieme al Teatro Manzoni per "Un ebreo, un ligure e l’ebraismo", dialogo semiserio sull’umorismo. Per capirne un po’ di più della comicità yiddish. E non solo.

Moni Ovadia, come nasce la serata?

"È stata una proposta di Dario. Lui è un cantore, un comico straordinario, di grandissimo acume. Inoltre è una persona colta, conosce benissimo la letteratura ebraica. Per me è stato molto semplice accettare di costruire insieme questa specie di divertissement, carico di suggestioni".

Cercherà di convertire Vergassola alla comicità ebraica?

"Ma lui è già un ebreo ad honorem! Il suo umorismo è folgorante e gioca con il paradosso. Per altro intendiamoci, se nei brutti tempi delle leggi razziali fossimo passati a braccetto davanti a delle guardie naziste, credo che fra i due avrebbero pensato che l’ebreo fosse lui...".

Dopo tanti anni, come sintetizzerebbe l’umorismo yiddish?

"È una sorta di filosofia. Ci sto anche scrivendo un libro: “Per una critica della ragion umoristica paradossale“. L’umorismo yiddish nasce per sconfiggere il cul de sac della contrapposizione fra noi e loro. Accende una terza via. Attraverso il paradosso. E a quel punto la risata è quasi un effetto collaterale".

Quali gli autori di riferimento?

"Il più grande è stato forse Sholem Aleichem, il Gogol della letteratura ebraica in yiddish. Ma sono tantissimi gli scrittori di grande fertilità, sia in Europa che nell’orizzonte ebraico-americano. Leo Rosten ad esempio è stato un importante raccoglitore di letteratura umoristica. La comicità yiddish ha impollinato la cultura americana e parte del suo pensiero. È una risata autodelatoria, si ride di sé stessi".

Trova che sia così frequente?

"Nella comicità statunitense è ovunque. Da Groucho Marx quando afferma “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me“, al David Letterman Show, dove tutti andavano per autodemolirsi, condividendo fragilità, errori, gaffe. È il potere salvifico della risata di fronte all’orrore. Difficile che uno che rida diventi un dittatore sanguinario".

Manca un po’ di umorismo nella politica italiana?

"Ah sì, lì invece è proprio assente. In pochissimi hanno il senso del ridicolo".

Cosa pensa invece di questo teatro che riparte? "La cultura è stato il settore più colpito. La rinascita del nostro tessuto sociale non può che passare dalla ricostruzione culturale. Ma purtroppo la nostra classe politica si ostina a non capire".