Intervista a Gigi Venegoni e "L’omaggio al gigante del Nilo, eroe trascurato"

Il compositore e chitarrista Gigi Venegoni con la band si è ispirato alla figura del grande egittologo Giovanni Battista Belzoni

Luigi Venegoni, alfiere del prog jazz degli anni Settanta

Luigi Venegoni, alfiere del prog jazz degli anni Settanta

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Un gigante alto più di due metri, a cui si sarebbe ispirato addirittura Steven Spielberg nel creare Indiana Jones. La vita da romanzo di Giovanni Battista Belzoni, ingegnere, circense, ricercatore, mercante, avventuriero, considerato il capostipite degli egittologi italiani, trova suono e passione nell’ultimo progetto di Luigi “Gigi” Venegoni, alfiere del prog-jazz anni Settanta prima con gli Arti & Mestieri e poi con i suoi Venegoni & Co. Il logogramma di quella e-commerciale che spunta nei “marchi” di maggior successo del compositore-chitarrista bergamasco lo lega ora idealmente al mito del grande esploratore - primo a entrare nel tempio di Abu Simbel, a trovare l’ingresso della piramide di Chefren, a scoprire della favolosa tomba di Seti I - grazie a Banda Belzoni, viaggio nell’Egitto d’inizio Ottocento che Venegoni affronta in compagnia, tra gli altri, di Sandro Bellu, che cofirma i dieci brani, Fabio Zuffanti, Paul Mazzolini (leggi Gazebo) e Lino Vairetti degli Osanna.

Venegoni, i testi del disco sono del giornalista Marco Zatterin, che nel 2008 aveva dedicato all’archeologo padovano il volume “Il gigante del Nilo. Storia e avventure del Grande Belzoni”.

"Già un anno dopo l’uscita della biografia Zatterin aveva tentato di trasformare la storia di Belzoni in un’opera rock assieme al tastierista degli Arti & Mestieri Beppe Crovella, ma il progetto s’era arenato dopo tre pezzi, entrati nell’ep ‘Il figlio del barbiere’".

Poi cos’è accaduto?

"Nel 2016 Marco è tornato all’attacco con me e la lettura del libro m’ha colpito talmente tanto da tirarmi nella storia; abbiamo seguito il binario che mi è più congeniale, legato al prog, al jazz-rock, alla fusion".

Cosa l’ha affascinata di Belzoni?

"Il fatto di essere stato un eroe trascurato, perché non appartenente all’accademia. Fu scoraggiato, quando non addirittura ostacolato, pure da Bernardino Drovetti, sulla cui collezione fu poi concepito il Museo Egizio di Torino".

Quando è stato realizzato il tutto?

"Poco più di un anno fa dopo sei-sette mesi di lavoro. In contemporanea o quasi alla mostra dedicata a Belzoni dalla città di Padova. L’idea era quella del teatro-musica, che unisce suono, immagini e racconto, ma tutte le buone intenzioni del progetto sono state bloccate sul nascere dalla pandemia".

Gazebo, però, sembra un po’ lontano da sabbie e piramidi.

"Da ragazzo Zatterin lavorava con Mazzolini, ma, con grande tempismo, penso bene di sciogliere il sodalizio un anno prima che l’amico diventasse Gazebo vendendo 3-4 milioni di dischi. Ma sono rimasti legati e così non solo Paul ha collaborato con noi, ma ha appena pubblicato il remix di un pezzo del disco realizzato nel suo stile, più vicino alla dance che al prog".