Compie 45 anni il primo album dei Clash: quando Londra fece punk

L'incendiario debutto della band guidata da Joe Strummer non ha perso un briciolo di urgenza e attualità

La copertina del primo album dei Clash

La copertina del primo album dei Clash

Titoli incendiari, ritmi furiosi, una copertina indimenticabile nella sua semplicità. E quella voce inconfondibile che manca a tutto il mondo da vent'anni. L'8 aprile del 1977, 45 anni fa, l'anno del compimento della rivoluzione punk (che in realtà covava sotto le ceneri dalla fine del decennio precedente, in una traiettoria a stelle e strisce a unire la trimurti Stooges, New York Dolls e Ramones), usciva il primo album dei Clash, fra i capolavori assoluti di quella stagione vissuta a mille all'ora.

La copertina

La cover, sei mesi prima dello squarcio pistolsiano di "Never mind the bollocks", è già un colpo di spugna (o di vernice) sui clichè e le ingessature ampollose del rock anni '70. I tre Clash - il cantante e chitarrista Joe Strummer (scomparso nel 2002), il chitarrista Mick Jones e il bassista Paul Simonon - sono ritratti nel vicolo di Camden Town che ospita la loro sala prove "Rehearsal rehearsals". Dallo scatto manca il batterista Terry Chimes, che ha già deciso di mollare il colpo. Verrà sostituito da Topper Headon. Ultima malandrinata, nel retro della copertina verrà ribattezzato Tory Crimes (un gioco di parole che si traduce con "i crimini dei Tory", il partito conservatore inglese). 

Il bianco e nero del ritratto scattato dalla fotografa Kate Simon viene incorniciato dall'artista polacco Roslaw Szaybo in una sbrecciatura verde. Mani nelle tasche, sigaretta impugnata, abiti home made, sguardi allucinati o strafottenti: non è una posa, è già un manifesto (ispirato, in parte, all'immagine scelta dai Ramones per il loro altrettanto fondamentale primo album).

Le canzoni

Il quartetto londinese prosciuga le sue energie in poco più di mezz'ora. In trentacinque minuti di musica vengono stipati 14 pezzi. La cover dilatata a 6 minuti di "Police and thieves" dell'artista reggae Junior Murvin scombina il piano di un mitragliata servita a base di proiettili sotto i 180 secondi di durata. La scaletta è memorabile. Si apre con l'incalzante "Janie Jones", dedicata alla nota amministratrice di un bordello londinese, per infilare una raffica di inni da scolpire nella pietra. La rabbia di "White riot" (scritta dopo la rivolta al carnevale di Notting Hill dell'anno prima) e "I'm so bored with the Usa", l'inno alla rovescia di "London's burning", la critica sociale di "Remote control" e "Career opportunities", lo sberleffo di "Protex blue" e "Garageland". Il tutto impreziosito dalla cover-monumento "Police and thieves", omaggio al reggae che, a braccetto con il punk, scuote le serate del sottobosco londinese.

Il tappeto sonoro non fa prigionieri: il basso pulsante e quadrato di Paul Simonon, le chitarre arrabbiate e i riff rubati al rock'n'roll (ma suonato a doppia velocità) di Mick Jones, il drumming tozzo ma efficace di Terry Chimes preparano il terreno alla voce abrasiva di Joe Strummer, il maratoneta in giubbotto di pelle pronto alla rivolta contro l'establishment, a partire dal padre diplomatico. Due anni dopo - in mezzo c'è il transitorio "Give 'em enough rope" - i Clash chiuderanno il loro primo cerchio con "London Calling", arabesco di stili e ispirazioni altrettanto decisivo. Ma l'urgenza dell'esordio continua a bruciare, oggi come allora.