Amy Winehouse: dieci anni senza una tigre fragile. Ispirazioni e cover da non perdere

La cantante di "Frank" e "Back in Black" morì il 23 luglio 2011

Amy Winehouse

Amy Winehouse

Dieci anni senza la ragazza sboccata e fragile di Londra Nord che cantava come le stelle nere dell'empireo della musica soul. Il 23 luglio del 2011 moriva a Camden Town, pittoresco quartiere di Londra frequentato da artisti e musicisti (oltre che da valanghe di turisti), Amy Winehouse, l'irregolare numero uno del pop britannico negli anni 2000.

Nata in una famiglia di origine ebraica, fu cresciuta dalla madre, dipendente di una farmacia, che divorziò dal padre, autista di taxi, quando Amy aveva 9 anni. La giovane autrice che ci avrebbe regalato album come "Frank" e "Back to black" si appassionò alla musica ascoltando il padre che le cantava i brani di Frank Sinatra ma anche grazie al legame con gli zii materni, molti dei quali erano jazzisti professionisti. Nel 2000, a 17 anni, il primo passo di una carriera breve quanto folgorante, quando ottenne il ruolo di voce femminile all'interno della National youth jazz orchestra.

Poi l'avventura da solista di cui rimangono i due album Frank (2003) e Back to black (2007), vincitori di premi a raffica, una serie di collaborazioni d'eccellenza, una manciata di esibizioni dal vivo in bilico fra lo scintillante e il disastroso e un look che le è sopravvissuto, nell'immaginario collettivo e nei ricordi dei fan. Quel trucco pesante, segnato dall'eyeliner nero spesso sbaffato, i top e i vestitini mini dai colori sgargianti e dalle fantasie improbabili, i tatuaggi da marinaio, i sandali decolletè su cui traballava; un po' sensuale, un po' sballona.

Indimenticabile Amy. Anche negli eccessi che se la sono portata via e che lei, con brutale onestà, non ha mai voluto negare. E neppure rinnegare. Morta in fondo sola, lei che sembrava cercare la compagnia degli esseri umani come l'aria. 

Le influenze di Amy

La musica afroamericana, innanzitutto. Nata e cresciuta in un Paese dove il culto per la musica soul ha germogliato una delle culture sotterranee più resistenti alle mode - il northern soul - Amy trovò ispirazioni nelle grandi voci degli anni '60. Aretha Franklin, in primis. Poi Etta James, Nina Simone, Carla Thomas, Sugar Pie Desanto e Bettye Lavette. E le stelle al maschile, Sam Cooke e Marvin Gaye su tutti. Ma anche le grandi del jazz come Sarah Vaughan, Dinah Washington e Billie Holiday.

Da inglese non può fare a meno di inserire nel suo pantheon nomi come i Rolling Stones (con i quali si esibirà in "Ain't too proud to beg", classico Motown dei Temptations), i Beatles, lo Spencer Davis Group e Paul Weller. Immagine, piglio aggressivo e attitudine alla distruzione degli schemi precostituiti devono molto al punk dei Sex Pistols e dei Damned, anche se è da scommettere che Amy avrà apprezzato i meno frequentati Ruts, e il loro primo album "The Crack", affascinante ibrido punk-reaggae-soul esaltato dalla voce schizoide del leader Malcolm Owen, cometa bruciata troppo in fretta sulla strada degli eccessi, come Winehouse.

E che dire delle band che, a fine anni '70, unirono una generazione di ragazzi bianchi e neri nel recupero del sound giamaicano anni '60, shakerandolo proprio con il punk? Con gli Specials, apice della trinità Two Tone Specials-Madness-Selecter, Amy si è esibita in diverse occasioni. E nel 2007 immortalò su vinile il suo amore per la musica in levare indicendo lo "Ska Ep", in cui appaiono "Monkey Man" dei giamaicani Toots and the Maytals (rifatta dagli stessi Specials), "Hey little rich girl" degli stessi Specials, "You're wondering now" (Andy & Joey) e "Cupid" di Sam Cooke, tingendola dei colori verde, giallo e rosso.

Amy Winehouse: le cover da non perdere

Oltre a una serie di originali, la cantante che ha legato il suo nome a Camden tanto da meritarsi una statua nel quartiere ci lascia anche una serie di cover eseguite - su disco o dal vivo - con grande rispetto per gli originali e un tocco di personalità. E' giovanissima quando trasforma la saltellante "All my loving" dei Beatles in una ballad delicata. Con gli Stones si lancia in una sfrenata versione di "Ain't too proud to beg" dei Temptations, gruppo vocale della Motown fra i più noti. Mark Ronson, il produttore Re Mida ai controlli per "Back to black" pochi giorni fa ha ricordato sui social il lavoro che Amy fece su "Valerie", hit di un gruppo indie britannico minore, gli Zutons. Un brano diventato fra le cifre della cantante di Enfield, tanto che in molti pensano sia un suo originale. Fu un incontro fra voci indimenticabili e fra caratteri "larger than life", come direbbero gli inglesi, l'interpretazione fatta dalla Winehouse di "Doo Wop (That thing)" dell'ex cantante dei Fugees Lauryn Hill. E poi altri duetti: "I heard it to the grapevine" di Marvin Gaye insieme a Paul Weller, "Ghost town" degli Specials eseguita sul palco di un festival proprio con la band di Coventry. E l'ultima perla - nonché l'ultimo brano registrato da Amy in vita - è "Body and soul", reworking di uno standard jazz anni '30 cantato insieme a Tony Bennet, monumento del crooning swingante a stelle e strisce.