Quel Fiore sbocciato tra il cemento dei clan

Il locale in cinque anni è diventato un modello a livello italiano: al posto del “fortino“ del boss Coco Trovato, un ristorante sociale di qualità

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"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior" cantava Fabrizio De Andrè in “Via del Campo“. E la frase calza a pennello alla storia del ristorante lecchese “Fiore, cucina in libertà“: dove c’era solo cemento e l’odore dei soldi sporchi di sangue, ora c’è un locale orgoglio di chi l’ha creato e dei clienti. "Perché Fiore è anzitutto una collettività", ripete Thomas Emmenegger, uno psichiatra nato a Lucerna 59 anni fa, guida della Fabbrica di Olinda, onlus capofila del progetto. Il “Fiore“ è sbocciato esattamente 5 anni fa e l’esperimento può dirsi riuscito. "I lecchesi hanno reagito in modo favoloso – racconta con emozione Emmenegger –, immaginate questo tetro luogo chiuso per 20 anni, un brand negativo, con un ex proprietario (il boss Coco Trovato, ndr) condannato a 4 ergastoli. La prima volta che ho visto il locale sono rimasto paralizzato: cemento e mattoni, una sorta di fortezza, orribile. Oltre a costruire un collettivo, abbiamo messo assieme eccellenze e intelligenze che ci hanno aiutato a rendere questo luogo accogliente, a restituirlo ai lecchesi". Due architetti, Claudio Lopasso e Carlo Carbone, hanno ripensato lo spazio, "lo chef stellato Enrico Delflingher ci ha aperto un sacco di porte", l’associazione Libera di don Ciotti "ci ha motivati e aiutati nel nostro percorso perché loro avevano una grande esperienza nel riconvertire spazi confiscati ai clan". E noi – aggiunge Emmenegger – "ci abbiamo messo la nostra capacità di lavorare con gli “scarti“ che nessuno voleva, eravamo gli unici a partecipare al bando". Tanto che nei primi mesi di apertura, nel locale sono passate persone "poco raccomandabili" e su Tripadvisor sono comparse recensioni terribili, strumentali. "Ma è stato un momento, è passato", sorvola subito Emmenegger. La forza di Olinda va oltre minacce, problemi e lo scetticismo di chi ripeteva: "Non ce la faranno mai". D’altronde, la palestra dei volontari è stata un altro piccolo miracolo, a Milano, con l’ex manicomio Pini nel quale la camera mortuaria è stata trasformata in ristorante, dal convitto delle suore è sorto un ostello, dalla vecchia cucina un teatro.

Il momento più bello di questi primi 5 anni di Fiore? "Ce ne sono stati tanti, ma quando lo chef Giorgio Antoniella, di ritorno da ristoranti prestigiosi in Asia, con un curriculum di alto livello, ha detto sì alla nostra sfida è stato un segnale bellissimo". E la cucina è diventata una fucina di nuovi talenti.

D lì, la sorpresa dell’adesione dei lecchesi al progetto. "L’80% dei clienti sono donne" svela Emmenegger. Perché? Uno degli architetti, Carlo Carbone, esperto in acustica, ha fatto un mezzo miracolo, nella ex pizzeria c’era un rimbombo terribile, lui ha creato un ambiente nel quale - anche se il locale è pieno - si può chiacchierare in modo molto intimo. Il locale ha una eleganza molto sobria, non è modaiolo ma molto curato. E poi c’è la qualità dell’accoglienza, nello staff sono tutti giovanissimi, e l’ottimo cibo". Sono arruolati 11 lavoratori, da 7 nazioni diverse, "tutti molto motivati, vogliono crescere, imparare e far bene il lavoro. Si sente questo spirito". Risultato? Identità golose ha scelto il Fiore fra le 100 migliori pizzerie d’Italia.

E il futuro? "Vogliamo consolidare e allargare la clientela. Senza mai dimenticare il carattere sociale del progetto: come cooperativa arruoliamo persone svantaggiate, vogliamo offrire più tirocini lavorativi a persone in difficoltà. Qui possono imparare un mestiere e - perché no? - essere assunti. Ora ce lo possiamo permettere". Già, perché no? Fabrizio Lucidi