"Per il teatro rifiuto soldi e visibilità Ma in cambio ho libertà e piacere"

Ferdinando Bruni, anima dell’Elfo Puccini: spesso non sopporto più il palco, poi all’improvviso mi manca

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di Diego Vincenti

L’Elfo Puccini apre il baule dei ricordi. E in attesa di festeggiare il cinquantenario (mezzo secolo!), ripropone una manciata delle sue produzioni storiche. Insieme al consueto sguardo sul contemporaneo. Questo lo spirito di "Esci di casa, vieni a teatro" nuova stagione del multisala diretto da Fiorenzo Grassi, con le guide artistiche di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Un pezzo di cuore di Milano. Il cui battito racconta molto dello stato di salute del teatro. Non solo in città. E se a volte sembra un po’ stanco, appesantito dai numeri, ecco che poi arriva sempre la zampata di classe. Come i veri fantasisti. Grazie anche a un rapporto speciale con il pubblico.

Bruni, che momento è per il teatro?

"Mi pare si assista a due spinte diverse. Da una parte c’è entusiasmo, slancio progettuale. Dall’altra grande preoccupazione per i conti e le spese energetiche, un problema serissimo per tutto il settore. Attendiamo degli aiuti concreti. Per altro in una situazione in cui già ci viene chiesto di dedicare una parte sempre più consistente del nostro tempo ai numeri, ai documenti, alla gestione, togliendolo al lavoro artistico. Dinamica pericolosa per la libertà stessa di pensiero. È ormai dal 2014 che si osserva un continuo peggioramento. Il ministero della Cultura chiede quantità, non qualità. E non c’è stato alcun ripensamento dopo la pandemia".

Voi già all’epoca avevate mostrato il vostro disappunto. "Sì, fu il tentativo di ribellarci ma fummo abbastanza maltrattati dai colleghi. Ora invece tutti se ne sono accorti sulla loro pelle. Nel bilancio la percentuale destinata alle produzioni è ridicola rispetto al totale".

A Milano si sta un po’ meglio? "C’è sicuramente una sensibilità particolare verso il teatro, quasi fosse una tradizione vissuta con un certo orgoglio. Anche il Piccolo si è come risvegliato, tornando ad essere una casa delle arti e ad osservare quello che succede nel mondo e nella contemporaneità".

Proprio la contemporaneità è uno dei tratti caratteristici dell’Elfo.

"È parte della nostra funzione pubblica, che si traduce in un ricambio generazionale seguito sempre con grande attenzione dal pubblico. Lo si è visto anche di recente con il successo del festival Hystrio, dove ho ritrovato una parte consistente dei nostri spettatori, che evidentemente appena apriamo si fidano subito di quello che viene proposto".

Che stagione sarà?

"Abbiamo sessanta titoli, un’infinità. Con due direzioni principali: le riprese di alcuni spettacoli storici e la consueta attenzione alla contemporaneità. In attesa di presentare un grande progetto specifico per il cinquantenario del prossimo anno. Ci saranno “Alla greca“ diretto da Elio De Capitani, il mio “Kaddish“, “La morte e la fanciulla“, Cristina Crippa con “La numero 13“ ma anche produzioni più recenti come “Rosso“, “Alice Underground“, “The Laramie Project“. E poi un’ampia parte dedicata ai linguaggi del presente con artisti come Eco di Fondo, La Variante Umana, Daniele Russo, Giorgina Pi o Phoebe Zeitgeist, di cui proporremo il “Torquato Tasso“. Mi ha colpito in prova, anche per la scelta di lavorare su Goethe. E poi mi fa piacere ritrovare il teatro di Isgrò con protagonista Daniele Fedeli, dopo “Malagrazia“ di nuovo impegnato in un ruolo molto forte rispetto a come l’ha conosciuto il nostro pubblico con “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte“".

E lei come si sente con mezzo secolo di teatro alle spalle? "Spesso non sopporto più il palcoscenico. Poi, improvvisamente, mi manca in maniera viscerale. Sono rimasto legato a questa realtà, pagando la scelta in termini di visibilità e di soldi. Ma in cambio ho avuto piacere e libertà. Perché di sicuro se penso a questo mezzo secolo, devo ammettere che mi sono sempre sentito libero".