"Io, un ingegnere al servizio della scuola"

Adamo Castelnuovo è il nuovo provveditore di Lecco. Laureato al Politecnico, ha cominciato a insegnare a 22 anni, a 33 era preside

"Io, un ingegnere al servizio della scuola"

"Io, un ingegnere al servizio della scuola"

di Simona Ballatore

Adamo Castelnuovo, 45 anni a dicembre, è il nuovo provveditore di Lecco e - per l’Ufficio scolastico regionale - si occupa anche del reclutamento del personale (la Lombardia gestisce un terzo delle procedure nazionali). Diploma in Ragioneria, laurea in Ingegneria, è entrato nel mondo della scuola da giovanissimo e a 33 anni era già preside.

Quando ha scelto la scuola ad altre carriere professionali?

"Ancor prima di laurearmi, a 22 anni. All’inizio è stata una casualità: erano gli anni dello sviluppo di internet e c’era una grossa carenza di personale in ambito scientifico. Mi sono buttato. Dopodiché mi sono innamorato della scuola e ho pensato al contributo e alle competenze che potevo dare io, ingegnere, al mio Paese. Mi vedevo come un ingegnere dello Stato".

Quali incarichi le hanno lasciato più il segno?

"L’esperienza da precario nelle scuole del territorio mi ha permesso di capire come si articolano le diverse realtà, penso al Bachelet di Oggiono, prima di diventare preside al liceo Grassi, dove ho imparato tanto: avevo la preparazione tecnica e culturale, ma il confronto con una realtà così impegnativa e col nostro territorio è stato sfidante. Negli anni in cui ero docente lavoravo anche col Politecnico di Milano, dove insegnavo Ingegneria dell’Automazione. Avere avuto la reggenza dell’istituto comprensivo di Merone, fuori provincia, mi ha permesso di vedere l’asse della formazione in maniera longitudinale, dall’infanzia alle superiori e oltre".

Gli ultimi quattro anni li ha trascorsi a Boston, come direttore dell’ufficio scolastico dell’Italia per cinque Stati. Cosa ha apprezzato e cosa le è mancato della nostra scuola?

"È stata una ’lettura di contrasto’ per scoprire quello che c’è di buono nel nostro Paese e non riusciamo a cogliere a pieno. Credo di essere tornato più italiano di prima. Ho potuto apprezzare quanto l’italianità sia considerata attrattiva, non solo per i figli dell’emigrazione d’inizio ’900. Ci sono tanti italofoni perché appassionati all’arte, alla cultura e alla cucina italiana. L’America è un laboratorio di crescita professionale per tanti, è ancora terra di opportunità. Ma su scuola e sanità in Italia c’è più apertura, integrazione e inclusione. Infatti investiamo tanto sul sostegno".

Anche se spesso manca il personale, a fronte di una crescita continua dei bisogni.

"Ci lamentiamo che non basta, ed è vero. Ma spesso lo diamo per scontato. Solo in Lombardia sono 30mila gli insegnanti di sostegno. C’è una visione e uno sguardo pedagogico da parte degli insegnanti nel confronto del singolo, un’attenzione figlia della cultura greco-latina e dell’umanesimo. Le criticità ci sono, ma anche i punti di forza. Penso all’associazionismo che ruota attorno alle scuole, al volontariato, ai gruppi di famiglie che collaborano. Credo sia importante che le giovani generazioni riescano a cogliere i nostri valori, una democrazia che non è lettera morta sui libri e il senso di appartenenza alla comunità".

Com’è cambiata la scuola con il Covid?

"C’è stata un’accelerazione con le nuove tecnologie, che devono trovare una collocazione nel fare scuola del post pandemia. Non devono essere archiviate come qualcosa legato all’emergenza, né essere viste come sostitute del rapporto in presenza. Serve equilibrio. La scuola è stata riconosciuta come attore fondamentale per ragazzi e famiglie, oggi è ferita perché i ragazzi sono feriti. L’obiettivo di quest’anno è che torni a essere spazio di incontro e conoscenza dell’altro per conoscere anche meglio sé stessi".

Quali le priorità?

"Questa è la prima: permettere ai ragazzi di riappropriarsi dello spazio scuola, del senso di comunità. L’amministrazione poi non può essere un mero ’documentificio’ per fare tornare i conti, altrimenti avrebbe poco senso di esistere. Sto ricevendo i presidi, uno per uno, per raccogliere non solo le criticità, ma le esperienze e ce ne sono tante che riverberano sul territorio. Penso alla scuola di Barbiana del comprensivo di Costa Masnaga, al laboratorio territoriale per l’occupabilità dell’istituto Fiocchi di cui usufruiscono altre scuole. Gli esempi sono numerosissimi. Raccontiamoci di più".

Dove occorre un cambio di passo?

"Credo che sulla parte laboratoriale ci siano ampi margini di miglioramento, come su un aspetto più ’filosofico’: bisogna coinvolgere di più i bambini nel dire la loro. A Lecco abbiamo anche il Politecnico: con il suo aiuto si potrebbero implementare tante attività per fare toccare con mano quello che si impara. Dimentichiamo il 95% delle nozioni ma, se ci pensiamo, quello che ricordiamo di più sono gli esperimenti, le esperienze fatte in classe. Racconto un aneddoto: nello Utah mi sono perso nel deserto, ero in mezzo alle dune. Mi sono ricordato in che posizione era il sole e mi sono orientato per tornare alla macchina. Quanto ho ringraziato la mia maestra delle elementari, che ci aveva portati sul tetto della palestra per spiegarci i punti cardinali...".