Inseguendo il sole: tutta la natura è teatro

“Il Giardino delle Esperidi“ tra Colle Brianza e Galbiate. E il sogno di uno spazio di ricerca e didattica nell’ex chiesetta di Campsirago

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di Diego Vincenti

Ci sono posti di cui rischi di innamorarti molto (molto) in fretta. Questione di atmosfere. Di persone. Di orizzonti che fanno breccia perfino nel cuore del milanese più incattivito. Tipo “Il Giardino delle Esperidi“, festival di Campsirago Residenza, casa base a Palazzo Gambassi. Durante l’anno è un via vai di artisti chiamati a sviluppare idee e a perdersi nei paesaggi del Lecchese. Con l’arrivo dell’estate prende invece vita la rassegna diretta da Michele Losi, regista, organizzazione, docente. Uno sguardo progettuale che sta segnando il territorio. Ventitré gli spettacoli. Fra teatro, danza, performing arts. “Following the Sun“ il titolo della diciottesima edizione, fino al 3 luglio nei comuni di Colle Brianza, Ello, Olgiate Molgora, Valgreghentino, Olginate, Sirtori e Galbiate. Tanta la qualità. Da non perdere l’Amleto itinerante dei padroni di casa, Gli Omini, FrosiniTimpano, Edda, “Sergio“ di Francesca Sarteanesi.

Losi, come definirebbe “Il Giardino delle Esperidi“?

"È un festival incentrato sul rapporto fra arte e paesaggio, sul camminare insieme, in maniera rituale. Vivere questo tipo di esperienza è il cuore del progetto, ancor più degli spettacoli".

Perché parla di rituale?

"Molti dei lavori sono itineranti e hanno come caratteristica l’attraversamento collettivo degli spazi, in un’atmosfera sospesa, talvolta onirica. Anche quando la proposta è più classica, frontale, proponiamo agli spettatori di raggiungere il luogo dello spettacolo insieme, dopo una camminata nei boschi. E questo è un dettaglio che cambia tutto, si crea come una specie di spirale energetica".

Anche il territorio aiuta.

"Sì. Stiamo ad esempio finendo di ristrutturare la Corte di Palazzo Gambassi a Campsirago che già possiede la dimensione collettiva della “piazza“. E poi c’è il dialogo con la natura, che ha trovato subito una grande risposta da parte del pubblico. Una relazione quella con gli spettatori che si è allargata e stratificata nel tempo, creando un solido legame con le comunità locali ma arrivando ormai anche al pubblico internazionale".

I suoi luoghi del cuore?

"La frazione di Biglio è praticamente spopolata ma conserva un fascino speciale. A est si gode una splendida vista sull’Adda. Figina nasce invece da una comunità agricola dell’Ottocento, vi si trova un’antica chiesa del XIIXIII secolo ed è rivolta verso i Corni di Canzo e le Grigne. C’è poi Mondonico, paese che pare sospeso, fuori dal tempo e dallo spazio. Ha sempre accolto artisti e anche Testori veniva da queste parti".

Cosa consiglierebbe del festival?

"C’è un progetto a cui tengo molto: la lettura integrale dell’opera di Cesare Pavese in quattro giorni, da lunedì 27 a giovedì 30 giugno. Gli attori saranno impegnati dalle sette del mattino a mezzanotte e il pubblico potrà passare quando vuole o scegliere di passeggiare in mezzo al bosco, visto che la voce sarà in direzione di Mondonico e dovrebbe sentirsi per un paio di km fra gli alberi".

I ricordi più belli?

"Mi viene in mente il debutto della nostra prima edizione, quando vedemmo arrivare un centinaio di persone, anche se all’epoca avevamo giusto tre proiettori e un impianto luce scassato. E poi la conclusione di quello stesso anno, osservare gli spettatori in fila indiana attraversare i boschi durante una performance itinerante".

I prossimi progetti?

"Vorremo ristrutturare una ex-chiesa per farne una sala prove e un nuovo Ostello, con 30 posti. Sarà un grosso impegno ma l’idea è quella di rendere Campsirago uno spazio di ricerca e di didattica davvero attivo 365 giorni all’anno. Per quanto mi riguarda mi auguro di proseguire con questo gruppo di lavoro. Tenermi stretta una visione sempre più collettiva e immersiva del teatro".