Racconto quel che vivo Milano capitale del rap troppo ricca di sogni per non sfornare talenti

Guè, il suo ultimo lavoro e la scelta di trasferirsi a Lugano dieci anni fa "Ho capito che solo nella solitudine, lontano da tutti, rendo al meglio. E comunque torno a casa una volta a settimana, dagli amici di sempre"

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Andrea

Spinelli

on puoi raccontare la strada guardandola su Google Maps". Lui, Cosimo Fini, meglio conosciuto come Guè Pequeno, anzi da qualche tempo solo Guè, giura di non averlo mai fatto. "Se nel rap c’è una regola aurea è di sicuro quella che dice: nei pezzi parla di quello che vuoi, ma racconta sempre cose che hai vissuto o conosciuto personalmente". Un po’ come faceva suo padre Marco, giornalista. È stato lui, assieme a mamma Michela, ad insegnargli come trovare sempre l’ottica giusta per inquadrare la realtà. Per convincersene basta ascoltare il nuovo album “Madreperla”, realizzato con la complicità del produttore Bassi Maestro e di uno stuolo d’amici fra cui Paky, Anna, Sfera Ebbasta, Mahmood, Massimo Pericolo, Benny The Butcher, Napoleone, Rkomi e Marracash. Lo scatto di copertina lo ritrae in Galleria. Perché per lui Milano rimane il l’ombelico del mondo. Del suo mondo.

Qual è il rapporto di Milano con gli altri crocevia del rap italiano.

"Ci sono delle scuole distinguibili, ma, eccetto quella napoletana, penso sia più una cosa più delle origini. Milano, infatti, non è solo il fulcro del business industriale, ma anche del nostro. Prendi Noyz Narcos, che è il simbolo di Roma, ma vive con la compagna a Milano da anni, dove hanno avuto pure una figlia. E così Salmo, che abita sì in Sardegna, ma orbita qui di continuo".

Quelli napoletani restano sul Golfo.

"In gran parte sì, ma quelli più forti hanno uffici qua perché è qua che gravita il loro business. Milano è la capitale del rap, una metropoli troppo ricca di aspirazioni e di vita per non continuare a sfornare talenti".

Lei, allora, ha scelto di andare a vivere a Lugano per separare il lavoro dal privato?

"La mia base è qua a Milano, ma ad un certo punto, una decina di anni fa, ho sentito il bisogno di trovarmi un posto tranquillo con una qualità di vita differente. Prima del Covid ero sempre in viaggio tra Europa e Stati Uniti, ma ho capito che per rendere al 100% in questa mia attività avrei avuto bisogno di vivere in un clima sereno, lontano da tutto e da tutti".

Soddisfatto?

"Sì, perché non sono scappato e vengo a Milano almeno una volta la settimana, frequento gli amici di sempre. La mia ispirazione, infatti, nasce dal vivere questa città in tutte le sue forme. Perché io rappresento Milano come Luché rappresenta Napoli e Noyz rappresenta Roma".

Nella musica qual è la scommessa da vincere?

"Portare l’ascoltatore dentro la vicenda che stai raccontando. A me è riuscito bene col maestro Enzo Avitabile in un pezzo di qualche anno fa, ‘La maleducazione’, storia di un bad boy che esce dal carcere peggiore di come c’era entrato. Sta tutto nelle parole e nei suoni che scegli, non nel tuo personaggio. Sul tema mi piace citare Geolier, il rapper più forte di nuova generazione: ‘La gente si deve affezionare alla mia musica, non a come sono’. Voglio essere un maratoneta e non un centometrista".

Qual è stato il momento in cui ha capito che questa sarebbe stata la sua vita?

"Con i Club Dogo nel 2006 facemmo un set alla Fnac richiamando una moltitudine di fans che finì col bloccare via Torino. Guardai negli occhi i miei compagni con la consapevolezza che ce l’avevamo fatta per davvero. Quando poi diventammo il primo gruppo rap a mandare sold-out il Rolling Stone fu chiaro che la strada era segnata. Da quando ho intrapreso la carriera solista sono arrivati altri momenti importanti, ma quelli furono i primi e, come tali, indimenticabili".

Cosa pensa di Baby Gang?

"Che è uno dei più forti in assoluto. Penso sia il primo a sapere di aver commesso degli errori. Se uno sbaglia è giusto che paghi, ma diversi di questi ragazzi vengono da situazioni drammatiche e cercano nel rap il loro riscatto. Perché impedirgli di suonare, di guadagnare soldi e uscire dal disagio? Temo che bloccare ogni attività a chi, con la musica, prova a cambiare vita, finisca solo col creare ulteriori problemi".

Nel mondo dell’urban rinnovarsi non è sempre facile.

"La cosa più difficile è rimanere influenti facendo musica transgenerazionale. Una scorciatoia potrebbe essere il pop, che però mi spaventa un po’ perché finisce con il trascinarmi fuori dal mio territorio sicuro. Ci ho anche provato, ma non sono rimasto soddisfatto".

I suoi video sembrano evidenziare una certa attrazione per il cinema.

"I destini del rap in Italia sottolineano che ci vuole del tempo per raggiungere gli obiettivi. In America, ad esempio, 50 Cent ha una sua fortissima serie tv e non è detto che fra qualche tempo pure questa innovazione non possa arrivare pure di qua dall’oceano. Mi piacerebbe tanto, infatti, scrivere per un’esperienza visiva".