Michele Bravi nella redazione del Giorno: ecco la mia canzone da sfogliare / FOTO

Con “Nella vita degli altri”, l'artista non rinuncia al... Piano B

Michele Bravi

Michele Bravi

Milano, 7 novembre 2018 -  Una canzone da sfogliare. O un libro da cantare, a seconda dei punti di vista. Nell’attesa si sbarcare il 17 novembre a Bookcity, alle 14 al Teatro Dal Verme, Michele Bravi ha raccontato ieri in redazione al Giorno “Nella vita degli altri”, il romanzo con cui prova a cercare la voce interiore della sua generazione andando oltre la musica. “Effettivamente ‘Nella vita degli altri’ nasce come canzone, una piccola storia dell’empatia per accontare quanto degli altri c’è nella nostra vita e quanto di noi c’è nella vita degli altri” ammette l’interprete de “Il diario degli errori”, 23 anni. “Ogni volta che provavo ad abbozzare questo testo, però, mi rendevo conto che qualcosa era rimasta fuori, che il brano rimaneva irrisolto, così mi sono lasciato convincere a scrivere tutto quello che mi veniva in mente per vedere se questo flusso sarebbe riuscito a portarmi a qualcosa. Effettivamente a qualcosa sono arrivato, anche se di natura diversa da quella immaginata all’inizio. A forza d’ingrossarsi, infatti, quel testo è diventato quattro racconti che, assieme ad un quinto, sono diventati un romanzo. E alla fine mi sono accorto che ‘Nella vita degli altri’ respirava molto meglio nella forma libro rispetto a quella canzone”.

Fra i personaggi del suo romanzo, con chi empatizza di più?

«Ogni personaggio è caricaturale e rappresenta un piccolo pezzetto di una personalità molto più grande. Quello che m’è venuto più di getto è Achille, un romano rabbioso che probabilmente nella varia umanità riunita nel volume è quello più schizzato».

Nei cinque racconti il dialetto è molto presente.

«Il modo in cui le persone comunicano racconta tanto della propria personalità. Il fatto che tutti parlano la stessa lingua ma ognuno la declina in maniera diversa evidenzia che la pasta madre è la stessa per tutti, ma poi ognuno è fatto delle sue esperienze, delle sue scoperte, dei suoi incontri».

Legami con le radici?

«Venendo da Città di Castello, sono cresciuto con la convinzione che il luogo in cui nasci è pure il centro della tua vita. Quando ho scoperto la città mi sono reso conto, invece, che esistono pure dei luoghi temporanei: posti in cui passano le storie delle persone che non hanno ancora trovato la propria destinazione definitiva. Il libro è ambientato proprio in uno di questi, che io chiamo ‘la palazzina di chi non sa chi è, ma sa cosa vorrebbe diventare’. Non avendo ancora trovato il mio luogo importante qui al Nord, mi reputo milanese d’adozione perché la vita mi ha portato fin qui, ma, nell’attesa di capire dov’è casa mia, i legami più forti rimangono con la terra d’origine».

Quest’esperienza cambierà il suo rapporto con le canzoni?

«Tanto. Chiuso il libro ho cestinato tante cose su cui ero convinto che avrei costruito il prossimo album, spostando il peso magari su altre di cui, invece, finora non m’ero accorto più di tanto. Quindi il disco nuovo sarà molto più vicino a questo libro che all’ultimo album».

Dopo l’esperienza in hit-parade con Elodie e Pequeno di “Nero Bali” torna pure ai concerti, con “Piano B” al Teatro Principe di Milano il 25 novembre.

«L’incontro col pubblico è sempre stato determinante. Il piano B è l’altra dimensione delle cose. Se non hai un piano B non riesci a capire quanto devi lottare per poter restare quello A. Ho cantato in locali da tremila persone, ma stavolta voglio intimità per raccontarmi a bassa voce».