Le ricette dell’economia contro trappole populiste

Un capitalismo più equo, per evitare le trappole dei populismi e dei nazionalismi

Mialno, 30 giugno 2019 - Un capitalismo più equo, per evitare le trappole dei populismi e dei nazionalismi. Lo teorizza Raghuram Rajan nelle pagine de “Il terzo pilastro - La comunità dimenticata da Stato e mercato”, Università Bocconi Editore. Rajan è uno dei maggiori economisti contemporanei: è stato ai vertici del Fondo Monetario Internazionale e governatore della Banca centrale dell’India, adesso insegna a Chicago e potrebbe essere uno dei prossimi Premio Nobel. Aveva già scritto, con Luigi Zingales, nel 2003, “Salvare il capitalismo dai capitalisti”. E oggi sostiene che lo Stato, con le sue inclinazioni sovraniste e il mercato, con il dominio di potenti gruppi globali nella finanza e nell’economia digitale, hanno creato nuovi gravi squilibri sociali, profonde disuguaglianze. Bisogna tornare alle comunità locali e dare loro poteri e risorse per affrontare i bisogni dei cittadini, anche esercitando bene i meccanismi della sussidiarietà. Un nuovo equilibrio economico e democratico.

Un punto dev’essere comunque chiaro: “Nessun pasto è gratis”, come sostiene Lorenzo Forni, economista all’università di Padova, Il Mulino. Il sottotitolo dice: «Perché politici ed economisti non vanno d’accordo». Ossessionati dal consenso di breve termine i primi, troppo legati alle dottrine i secondi. Il nodo è il “vincolo di bilancio”. Lo si può aggirare per un po’. Ma poi arriva il conto. E lo pagheranno i più deboli. Forni ricorda i casi di Argentina, Bielorussia e Spagna, sottolinea i limiti di espansione fiscale e protezionismo di Trump negli Usa, nota che la spesa pubblica «in disavanzo, che si paga da sola con la crescita» è «il tentativo moderno del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci» e insiste: la crescita si fa solo con riforme che rendono un’economia più digitale e competitiva, non con la spesa facile, i tagli di tasse in deficit o la stampa senza controllo della moneta. Sì a investimenti in istruzione, ricerca e sostenibilità ambientale. Ma no all’assistenzialismo fondato sui debiti. Per capire bene, serve dunque ragionare sui dati reali dell’economia, i redditi, i posti di lavoro. Invece trionfa “L’economia percepita”, come scrivono per Donzelli Roberto Basso, esperto di comunicazione e management e Dino Pesole, editorialista de “Il Sole24Ore”. Si discute di «dati, comunicazione e consenso nell’era digitale», per spiegare come e perché si sia diradato il favore per classi dirigenti e personalità ricche di competenze e come il disagio sociale abbia preferito le ricette facili di populisti e sovranisti invece che le risposte complesse ai conflitti e alle contraddizioni dell’economia globale. Scorciatoie che non portano a nulla di buono. L’invito conclusivo è «alle classi dirigenti perché tornino a essere tali, con la riconquista della coscienza dei propri obblighi verso la comunità». E ai cittadini che credono nella democrazia «affinché ciascuno acquisisca consapevolezza della differenza tra ignoranza e competenza, tra senso comune e conoscenza scientifica».