Mediterraneo, un crocevia di popoli, commerci e tensioni

Rileggere caratteri e storie del Mediterraneo, per capire meglio chi siamo e tracciare nuove mappe di sviluppo ed equilibri civili

Milano, 30 settembre 2018 - Rileggere caratteri e storie del Mediterraneo, per capire meglio chi siamo e tracciare nuove mappe di sviluppo ed equilibri civili. Qui, dove sono nate le nostre civiltà. Per farlo, serve dedicare attenzione a un “Atlante geopolitico del Mediterraneo 2018”, curato da Francesco Anghelone e Andrea Ungari, Bordeaux Edizioni. È la nuova edizione di un Atlante che l’Istituto di studi politici San Pio V manda in libreria dal 2012 ed è dedicato ai flussi migratori e ai motivi di fondo che spingono decine di migliaia di persone ad abbandonate i paesi del Medio Oriente carico di conflitti e di un’Africa in pieno boom demografico ma squilibrata da forti tensioni economiche e politiche per cercare in Europa nuove e migliori condizioni di lavoro e di vita. Speranze. E illusioni. Perché l’Europa non ha ancora una politica comune di accoglienza e integrazione. Subisce, giustamente allarmata, le spinte di un islamismo radicale. E non sa elaborare scelte che tengano insieme le ragioni della sicurezza con quelle della collaborazione internazionale.

In questo Mediterraneo ricco di commerci e conflitti vale la pena “costruire ponti”, tra civiltà, religioni, culture, interessi. E’ un incitamento abituale, nei discorsi di Papa Francesco. E proprio con una sua lettera si apre “Noi fratelli” di Giancarlo Mazzuca e Stefano Girotti Zirotti, Mondadori, un libro di straordinario interesse, denso di ricostruzioni storiche e spunti d’attualità sul difficile rapporto tra mondo cristiano e Islam. Una parola ricorrente è “dialogo”, nonostante tutto, accogliendo l’incitamento della Chiesa e di Papa Francesco: «Mai più guerre nel nome della religione». Si ricordano le crociate e le lotte per la conquista di Gerusalemme, si rileggono le stagioni del colonialismo e si arriva ai nostri giorni, trovando ragioni per fronteggiare estremismi e fanatismi e costruire, proprio con il confronto religioso e civile, migliori condizioni di vita per tutti. Mediterraneo sono anche le acute tensioni economiche e sociali irrisolte, i conflitti tra salvaguardia dell’ambiente e crescita industriale, diritto al lavoro e tutela della salute. La storia di Taranto e dell’Ilva, grande acciaieria in crisi, ne è un drammatico paradigma. Su cui scrive pagine esemplari Alessandro Leogrande (uomo di cultura di grande livello, morto a quarant’anni appena nel 2017) adesso raccolte, postume, in “Dalle macerie - Cronache sul fronte meridionale”, con un’intensa prefazione di Goffredo Fofi, Feltrinelli. Cattedrale nel deserto, l’Ilva. Eppure centro siderurgico da cui dipende parte dell’industria italiana. Impianto inquinante e mai finora risanato. Ma anche occasione di salari e timido benessere. Una contraddizione. Cui Leogrande dedica parole sincere: «Taranto deve comunque uscire dalla monocultura siderurgica che nell’ultimo mezzo secolo non ha fatto altro che alimentarsi delle sue stesse viscere». Una storia velenosa