Le ragioni del dialogo nell'era della propaganda

Anche le parole si usurano, in tempi di crisi e d’esasperazione della propaganda, di rancori che mettono ai margini ragione e dialogo

Milano, 28 luglio 2019 - Anche le parole si usurano, in tempi di crisi e d’esasperazione della propaganda, di rancori che mettono ai margini ragione e dialogo. E vale la pena, per chi ha a cuore il binomio libertà-responsabilità su cui si fonda la democrazia liberale, tornare a ragionare di idee e valori. Come fa, con sapienza e lucida chiarezza, Giancarlo Bosetti in “La verità degli altri -La scoperta del pluralismo in dieci storie”, Bollati Boringhieri. Si comincia con Isaiah Berlin, uno dei protagonisti del pensiero liberale, si continua con Ashoka, l’imperatore dell’India del III secolo a.C. («antiche rocce che insegnano a discutere»), Origene con la sua idea della “salvezza” anche per i non credenti (in opposizione a sant’Agostino), Niccolò Cusano con la visione della “veritas” che diventa “varietas”, Bartolomeo de Las Casas, gesuita impegnato sui diritti degli indios contro lo schiavismo che coinvolge la Chiesa, Michel de Montaigne, Gotthold Ephraim Lessing, Horace Kallen padre della diversità americana, il teologo belga Jacques Dupuis, l’antropologa Margaret Mead. L’idea di fondo: confutare le argomentazioni dei “monisti”, assertori di un’unica verità e lasciare invece spazio al dialogo e all’idea del valore “dell’altro da sé”.

Ricostruire, insomma, una “società aperta”. Fuori dalle tentazioni assolutiste del “primato della ragione” (e dalle derive giacobine), vale la pena riflettere anche su “Il mondo dell’Illuminismo”, come fa bene Vincenzo Ferrone per Einaudi, tracciando la “Storia d’una rivoluzione culturale” che ci ha lasciato un’eredità ancora attuale: “La critica epistemologica dei saperi allora dominanti” condensata nell’opera-manifesto del “secolo dei Lumi”, L’Encyclopédie, l’importanza della ricerca scientifica, l’idea di “tolleranza”, la costruzione d’un “umanesimo dei moderni”, le relazioni tra diritti e doveri che fanno da base del liberalismo e della democrazia che ancora oggi vogliamo vivere, nonostante le difficoltà e le manovre di potenti nemici campioni d’autoritarismo e assolutismo. Bisogna evitare la “Cecità morale”, sostengono Zygmunt Bauman e Leonidas Donskis, Laterza.

L’analisi riguarda “la perdita di sensibilità nella società liquida”, il prevalere di risposte effimere ai bisogni delle persone, la diffusione d’una crescente indisponibilità a farsi carico dei bisogni e a dare ascolto ai valori “dell’altro”, che ci porta verso una “elusività del male” e una “perdita di sensibilità” tra “paura e indifferenza”. Il consumismo diventa così una «una farmacia dove rifornirsi di tranquillanti e analgesici per attenuare o placare dolori che non sono fisici ma morali». E «la trama dei legami umani, intessuta di morale, si fa sempre più fragile e delicata». La crisi della politica aggrava i fenomeni, il degrado del linguaggio deteriora la sensibilità per i problemi altrui. Ecco perché vale la pena denunciare le pagine più oscure della crisi e tornare a ragionare di umanità e usare parole come “amore, amicizia, lealtà”. La battaglia civile non è ancora persa.