Il gioco delle parole: vanità (e vizi) del mestiere

Milano, 14 aprile 2019 - L'incipit è straordinario: “Il primo lo ammazzarono a bastonate perché aveva citato Spinoza durante un talk show”. La vittima raccontata da “Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi, Feltrinelli, è Giovanni Prospero, filosofo (a casa ha più di 8mila libri), ricordato così dalla figlia Olivia, laureata in epigrafia bizantina e finita a fare la chef nella provincia inglese: “Era un intellettuale, non disturbava nessuno”.

Eppure, proprio in Tv, era stato preso di mira dal Primo ministro degli Interni: “Si vergogni, lei fa citazioni mentre il popolo muore di fame”. Poi, ecco l’assassinio di un professore di latino e della giuria del festival di Spoleto, da parte delle Brigate Beata Ignoranza. Il Primo ministro incalza: “Il popolo muore dalla voglia di parlare, non ne può più di ascoltare”. E “per fare parlare gli stupidì, bisogna far tacere gli intelligenti”. È il ritratto sarcastico d’un paese in cui un decreto legge ha vietato le parole difficili e ordinato la semplificazione di vocabolario e grammatica. Gli intellettuali sono schedati e messi ai margini della vita civile. Il commento è caustico: “Si è passati dall’egemonia culturale alla prevalenza del cretino”. Poi, lentamente, matura una reazione, recuperando le parole difficili vietate... Il gioco delle parole, però, cela anche vanità e vizi dei mestieri letterati. Svelati dalla lama ben affilata d’una dissacrante ironia nelle pagine di “Nel giardino delle scrittrici nude” di Piersandro Pallavicini, Feltrinelli. 

La protagonista è Sara Brivio, scrittrice d’incerta fortuna che, grazie a un’improvvisa eredità che le rende due milioni al mese, viene catapultata dalla mediocrità provinciale di Vigevano a una condizione di sconfinato benessere. E il suo capriccio è fare vivere un premio letterario destinato, orientando i voti segreti, a umiliare i candidati di gran fama e regalare un premio vistoso a un autore snobbato e incompreso.

Personaggi ben dipinti animano una trama densa d’intelligenza critica e sagaci colpi di scena. La fine non si svela, ma di certo è un grande elogio della scrittura, come strumento d’amore e di vita. La scrittura sapida e ironica anima anche “Palermo è una cipolla. Remix” di Roberto Alajmo, Laterza: la nuova edizione d’un libro di successo di quindici anni fa, in cui si raccontano i cambiamenti di Palermo (in meglio, spiega), con una vitalità sociale e culturale e un orgoglio fondato su una diffusa coscienza anti-mafiosa. La città è però “irrequieta e irrisolta” ma anche attrattiva, per mecenati che restaurano dimore principesche e ne fanno centri d’arte contemporanea. Resta “l’eterna propensione all’annacamento, ogni due passi avanti corrisponde un passo indietro, uno a destra e uno a sinistra”, un movimento che cela un parziale immobilismo: “La storia siciliana non è mai stata una superstrada a senso unico, semmai una trazzera tortuosa”. Lungo la quale, comunque, si va.