Drammi, eroi e misteri. Protagonista la storia

Scrivere storia, ha insegnato Walter Benjamin, uno dei maggiori intellettuali del Novecento, significa «dare alle date la loro fisionomia»

Milano, 7 ottobre 2018 - Scrivere storia, ha insegnato Walter Benjamin, uno dei maggiori intellettuali del Novecento, significa «dare alle date la loro fisionomia», arricchirle cioè di fatti, luoghi, volti, ricostruire contesti e retroscena, illustrarne radici e conseguenze. Lo fa bene Alfio Caruso in “AMilano nasce l’Italia”, cronache ben documentate sulle “cinque giornate che hanno cambiato la nostra storia”, dal 18 al 22 marzo del 1848, in cui gran parte della popolazione milanese diede battaglia contro le truppe austriache del feldmaresciallo Radetzky, costringendole alla fuga. Sulle barricate si ritrovarono in tanti: popolo e borghesia, intellettuali e aristocratici. Una rivolta, tra le pagine migliori del Risorgimento. Ma anche l’emergere di un movimento più profondo in cui le ansie di libertà costituzionali si sommavano al protagonismo politico di nuovi ceti sociali che, accanto al successo economico, chiedevano rappresentanza istituzionale. Milano, allora, avanguardia d’un movimento nazionale. Destinato a segnare tutto il tempo a venire.

Ci sono pagine drammatiche, nella nostra storia. Con date esemplari, attorno a cui si condensano trasformazioni di lungo periodo. Come il “25 luglio 1943”, un saggio di Emilio Gentile, ottimo storico, edito da Laterza, nel contesto di una collana sui “10 giorni che hanno fatto l’Italia” (dal 5 maggio 1860, la partenza dei Mille di Garibaldi verso la Sicilia al 26 gennaio 1994, con la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi e la nascita della Seconda Repubblica). In quel luglio ‘43, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, il Gran Consiglio del Fascismo vota contro Mussolini, subito arrestato per ordine del Re, che passa il potere al generale Badoglio. Fatti e comportamenti in parte ancora oscuri (tradimento? complotto della monarchia per salvarsi dalla crisi del fascismo? atto patriottico di molti gerarchi per sottrarre l’Italia alle rovine della guerra?). Gentile cerca di chiarire scelte e ragioni dei tanti attori. E in parte ci riesce bene. C’è un altro punto di vista, da cui leggere quei drammatici giorni. Ed è quello del commissario Achille De Luca, protagonista di una serie di successo di Carlo Lucarelli, ambientata nell’Italia degli anni difficili tra la fine del fascismo e l’inizio della Repubblica. Qui, in “Peccato mortale”, Einaudi, proprio nei giorni di fine luglio ‘43, in una Bologna squassata dai bombardamenti e annichilita dall’arrivo delle truppe d’occupazione tedesca, De Luca si ritrova a indagare su un morto senza testa e un’altra testa mozzata, senza resto del cadavere. E si muove fra trame politiche, affari sporchi, traffici di cocaina, nobili debosciati e consoli fascisti in fuga. Un fetido pasticcio. Su cui De Lucia si muove incurante di pressioni politiche e ricatti. «Sono solo un poliziotto», ama dire, come se quel mestiere fosse uno scudo personale e morale. Sino a un compromesso che continua a fare ombra.