Datemi due bastoni e vi migliorerò il mondo

In tre generazioni Cober, dal visionario Renato alla digital Alice, ha rivoluzionato il mondo degli appassionati di trekking (e non solo)

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di Paolo Galliani

Un pioniere? Di più: un visionario. Di quelli con i piedi saldamente attaccati alla terra e i pensieri perennemente in libera uscita. Perché - diceva - la natura la scopri facendo andare le gambe ma anche la testa. E siccome ai suoi tempi, sulle piste innevate ci si arrangiava con attrezzi di fortuna, aste in legno o robe simili, otto anni dopo la fine della guerra aveva avuto l’intuizione: avviare la prima, vera fabbrica italiana di bastoncini da sci. Renato Covini l’aveva aperta in città, dalle parti di corso Lodi, prima che il buon senso e la logistica consigliassero di trasferire l’azienda Cober nella vicina Opera, perché nel frattempo il boom economico aveva reso lo sport una pratica democratica e il potenziale di vendita era lievitato. Quasi settant’anni dopo, rovistare nella scatola dei ricordi è come concedersi una bella camminata. E alla Cober è diventato anche un modo per alimentare la memoria emotiva e motivazionale: chi siamo, da dove veniamo, dove vogliamo arrivare.

Una vita, tante vite. È il ’53 quando Renato Covini inizia appunto a realizzare bastoni da sci e a rimpiazzare i marchingegni un po’ naif a disposizione degli appasionati della neve. Non contento, nei due decenni successivi sviluppa la produzione di attacchi da sci, più comodi e sicuri rispetto a quelli presenti sul mercato. Poi entra in azienda il figlio Flavio e la Cober torna a scommettere sui bastoni.

Con l’ennesima rivoluzione: puntare solo sull’inverno si rivela un lusso insostenibile e viene allora creata una linea di prodotti anche per la bella stagione, quella delle escursioni all’aria aperta. Flavio Covini fa di più. Concentra gli investimenti sulla ricerca di soluzioni meno impattanti. L’alluminio sostituisce l’acciaio. Arrivano la verniciatura a polvere, la serigrafia a UV senza solventi, lo stampaggio di componenti in plastica "seconda vita", la trasformazione degli scarti in prodotto finito.

E la Cober aggancia la propria immagine ad iniziative per la difesa della fauna locale e la sopravvivenza delle api. Scelte radicali che sedimentano il passato lontano e quello più recente. Prima, il pragmatismo di nonno Renato, poi il carisma di papà Flavio. E adesso l’entusiasmo giovanile di Alice, terza generazione: il compito di guidare la parte commerciale del marchio sviluppando il suo lato narrativo; la comunicazione aziendale più aggressiva condivisa con l’amica Costanza Bacchi per padroneggiare il vocabolario social e le terminologie inglesi ormai essenziali a livello globale; e il gioco di squadra da “dream team“ che dice molto di questa azienda milanese di trenta dipendenti con una capacità mercuriale di anticipare i gusti degli sportivi e di dialogare con la community degli appassionati di outdoor.

Perché, certo, il catalogo è importante. Contano le linee Alpine e Cross Country, Strolling e Trekking. Conta la produzione annua di mezzo milione di bastoni invernali ed estivi. Ma se un’impresa deve fare business, deve anche muovere le idee. A riprova che nonno Renato aveva visto lontano. E che, quasi 70 anni dopo, quella di via Ofanto a Opera è diventata un’officina di storie. E convinzioni. Una su tutte: i bastoncini da trekking o da sci devono fare camminare i nuovi nomadi e ottimizzare le performance degli sportivi sulla piste innevate. Ma anche alimentare l’immaginario. E sfamare il desiderio di migliorare il mondo.