"Dalla catastrofe finanziaria al tutto esaurito"

Lo chef La Mantia e il suo messaggio d’amore per Milano: questa città premia chi si mette in gioco, ma che fatica trovare personale

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di Andrea Gianni

La pandemia è stata una "catastrofe finanziaria" per Filippo La Mantia. Ma "l’oste e cuoco" di Palermo, superato il giro di boa dei 60 anni, ha deciso di ripartire da zero aprendo il ristorante al Mercato Centrale di Milano. "Dal 31 marzo è strapieno, questa è una città complessa ma premia chi si mette in gioco".

Come è cambiata la ristorazione a Milano, post pandemia?

"Chi è riuscito a resistere sta lavorando bene. Il vero problema ora è trovare personale".

Quali sonocle cause?

"Forse, a differenza nostra, i ragazzi del 2000 si fanno più domande. Perché devo lavorare nel fine settimana? O staccare all’una? Voglio questo dalla mia vita? Molti giovani che facevano questo lavoro prima della pandemia sono andati in cassa integrazione, hanno trovato altro".

Ripercussioni sull’attività?

"Mi sto affidando a un’agenzia esterna che fornisce personale. Faccio colloqui, ma è difficile. Alcuni chiedono il part time, altri non vogliono lavorare di sera. Sarei disposto ad assumere 5 dipendenti, perché l’agenzia ha costi più alti, mancano i candidati. Ho incontrato più di 85 persone e non sono ancora riuscito a formare una squadra".

Colpa degli stipendi bassi?

"Non è questione di stipendi, ma di mentalità. Ci sono ristoratori che si comportano male ma noi non possiamo permetterci di sfruttare i dipendenti. Il Covid ha reso insicuri i giovani, ha cambiato la percezione del lavoro. Lo vedo in mia figlia, che ha 14 anni e vive l’adolescenza con distacco. E c’è un paradosso".

Quale?

"Ricevo tante richieste da chi ha la mia età, 62 anni, vogliono rimettersi in gioco".

Lei è stato uno dei primi a gettare la spugna durante la pandemia, chiudendo il suo ristorante in piazza Risorgimento. Come ha vissuto la crisi?

"È stato uno dei drammi della mia vita, perché era il ristorante dei miei sogni. Ho perso tutto quello che avevo messo da parte, è stata una catastrofe finanziaria e un dolore per i 38 dipendenti. Era un luogo troppo grande, con il secondo lockdown ho deciso di chiudere perché venendo meno gli eventi, che coprivano metà del fatturato, l’attività non era più sostenibile".

Con la riapertura al Mercato Centrale cambia modello.

"Ho scelto un modello più abbordabile. I clienti hanno trovato quel che c’era in piazza Risorgimento, più in piccolo. Siamo pieni, potrei fare 85 coperti, mi fermo a 60 perché voglio mettere bene a punto la squadra".

Questo periodo ha visto schizzare alle stelle i costi dell’energia e delle materie prime.

"Non ho alzato i prezzi, ma ho iniziato a far pagare il coperto".

Cosa rappresenta Milano?

"È una città che mi ha dato tantissimo e anche un Ambrogino d’Oro. Sono grato ai milanesi perché ho sempre ricevuto amore. È una città complessa, con luci e ombre e un mercato immobiliare alle stelle, gestita bene da Sala, un sindaco manager".

Progetti per il futuro?

"Ho riaperto alcune collaborazioni, fra cui quella per un’apertura a Bergamo. Mi voglio dedicare al mio ristorante e alla mia famiglia. Non faccio vacanze da due anni, ad agosto chiudo per fare quattro settimane di relax".

Che consiglio darebbe a un giovane che vuole avvicinarsi alla sua professione?

"Fino al 2014 sono stato un dipendente, s mia figlia direi: “Se vuoi lavorare sull’ospitalità devi sporcarti le mani, credere in quello che fai e non aver paura di occupare tanto tempo. In questo lavoro non regala niente nessuno, e se non li fai stare bene i clienti ti mandano a quel paese".