Com'è Jarrett... Venezia

Il piano solo a La Fenice. Un vero capolavoro

Il pianista Keith Jarrett

Il pianista Keith Jarrett

Milano, 11 ottobre 2018 - La Fenice. Keith Jarrett, piano solo, 19 luglio 2006. L’ultimo capolavoro, questa volta in concerto, ripubblicato da Ecm. Una Suite in VIII Parti, dovevano essere X?, un crampo alla mano sinistra che sembra compromettere la serata, il silenzio, gli applausi scroscianti nei bis. Carne, musica e scena per chi si aspettava un dodecafonico post jazz. Il tema di un’opera, un traditional e uno standard. I fan veneziani ricordavano il concerto elettrico con Miles Davis di 25 anni prima, in presentazione si era chiarito che ci sarebbe stato molto Novecento. Che diventa un parco archeologico dove estrarre fughe atonali, riflessi blues, ossi di ballad. Perché qui prima c’era il mare. Ascoltate la Suite V per capire. La prima parte, i movimenti di improvvisazione composizione sono una parete verticale, richiedono ascolto e fatica, il Jarrett degli esordi e dei Trios sorride in “The Sun Whose Rays” dal “The Mikado” di Gilbert e Sullivan, echi lontani di «Facing you» (1971), prima storica incisione per l’ etichetta tedesca Ecm. Dai tre bis il Traditional “My Wild Irish Rose”, già registrato da Jarrett su “The Melody At Night With You”) lo standard «Stella by starlight» e il suo delicato “Blossom”. Ero a Bergamo Jazz per il suo primo piano solo al Teatro Donizetti, prima del leggendario The Koln Conzert (1975) e lì era il fluxus magmatico a non fare prigionieri.

A La Fenice la ricerca è più dentro alla materia, ai suoi linguaggi, al Big Bang creativo. La nascita apparentemente e faticosamente casuale di una melodia, Part V, il pedale ossessivo della musica nera (poi anche bianca) come miniera armonica con cui comporre altro, Part VIII. La complessità della semplicità e viceversa in “The Sun Whose Rays”. 

Keith ci regala il momento della composizione contemporanea e lo cristalizza in una istantanea emotiva, ne libera la creatività esplosiva non solo la fatica espressiva. Non è prigioniero del canone, seppure negato, o di gabbie ideologiche dove le note pesano come pietre. Dove l’opera è fedele a una scuola. Questo ci restituisce Jarrett nelle parti della suite, l’attesa complice per l’arrivo della prossima nota di diamante, la via di fuga da una gabbia che separa il genio dal cuore. Sposta il centro di gravità, esplorando le ottave basse in ogni anfratto armonico melodico, uscendo dai giri percussivi del jazz. L’uscita di “La Fenice” coincide con la 62 Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, che ha onorato, proprio quest’anno, Jarrett con il Leone d’oro alla carriera. Il primo musicista jazz dopo Luciano Berio, Pierre Boulez, György Kurtág, Helmut Lachenmann, Sofia Gubaidulina e Steve Reich.