Nove canzoni da New York, Motta canta vivere o morire

Testi con musica e amore sullo sfondo, armonici e disarmonici come i suoni indie contaminati da archi, fagotto, trombone e tromba di Mauro Ottolini

Il cantautore Francesco Motta

Il cantautore Francesco Motta

Milano,1 2 aprile 2018 - Citofonare Motta, garantisce dopo premi e molto altro anche Caterina Caselli che l’ha portato in Sugar. Presentazione in un appartamento di Porta Romana e seguito in trattoria, secondo album dopo l’esordio indie “La fine dei vent’anni”, fra l’altro Targa Tenco. Titolo secco: “Vivere o morire” (Sugar), che vuol dire ovviamente altro. “Io so da che parte stare”. Nove canzoni scritte da Francesco Motta anche con Pacifico, il facilitatore maieutico in ascolto, e Riccardo Senigallia, il timoniere (Francesco il vento e la vela). Prodotto, registrato e mixato tra Roma, New York e Milano, da Francesco Motta e Taketo Gohara, anticipato dal singolo “La nostra ultima canzone”, il pugno in una carezza, e una storia molto interessante. Pisano a Livorno, toscano prima a Milano zona Navigli e poi da qualche anno a Roma, “che sento come la mia città”. Infatti canta “ho cambiato casa cento volte e ce ne fosse una che mi ha fatto venire voglia di restare... adesso vedo tutto un po’ più chiaro...Vivere o morire, aver paura di dimenticare, aver paura di tuffarsi e di lasciarsi andare”.

I “Silenzi di mia madre”, rapporti consapevolmente inadeguati e conflittuali. Senza troppe punte e punture. Pianoforte e chitarra, un inizio e una fine che potrebbe anche essere un nuovo inizio. Vite come al poker, da vedere. Le radici fra band indie e “la sorella maggior Nada”, i Criminal Jokers e i Zen Circus, i corsi di Composizione al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, le colonne sonore che entrano ed escono dal racconto dell’album. Che forse è il primo momento di sintesi e termina con “la canzone sul babbo” Giovanni. “Lui e mia madre Rosetta mi hanno sempre aiutato, il difficile è stato farla ascoltare a lui. A 31 anni comincio a vederli come persone, più umani e vicini”. Dove puoi anche ribaltare i ruoli “Adesso io faccio il mostro e tu il bambino”.

Testi con musica e amore sullo sfondo, armonici e disarmonici come i suoni indie contaminati da archi, fagotto, trombone e tromba (flicorno) di Mauro Ottolini (“Per amore e basta”). Note, morsi alla vita, bottiglie di vino e libertà stravolte. Registrare a New York è “stato bellissimo ma anche un bel frullatore di persone sole”. Viaggiare è nutriente, come l’ascolto delle sue canzoni e il gruppo cubano che intona “Fuera como tu” in “E poi ci pensi un po’” che è la sua cartolina. Bel linguaggio, arrangiamenti liberi e diagonali, un modo orizzontale di raccontare e suonare che ha picchi emotivi da scalare. Anche classiche canzoni, come viene. A maggio, dopo l’instore tour, quattro eventi live firmati Trident dal 26 a Roma, Bologna, Firenze, il 31 maggio all’Alcatraz. A breve anche un incontro al Giorno con i suoi fan, quelli che hanno già riempito l’anno scorso l’Alcatraz.