C’era una volta la chanson, Aznavour l’ultimo grande

La Chanson francese è un movimento storico e culturale molto complesso, influenzato dal jazz e dalla musica popolare, ma soprattutto da altri linguaggi, poetici, letterari e teatrali

Charles Aznavour

Charles Aznavour

Milano, 4 ottobre 2018 - Chanson, adieu. Con la morte di Charles Aznavour se ne va l’ultimo grande dopo Maurice Chevalier (Tino Rossi), Charles Trenet, Gilbert Bécaud, senza considerare gli eccentrici Henry Salvador e Serge Gainsbourg. O gli eretici Brassens e Ferré. La sua poetica dell’amore infelice aveva avuto grande successo anche in Italia, non solo per “Io fra di voi”, ma non è stato il Sinatra francese, come è stato scritto scatenando l’ira di chi sa. La Chanson francese è un movimento storico e culturale molto complesso, influenzato dal jazz e dalla musica popolare, ma soprattutto da altri linguaggi, poetici, letterari e teatrali. L’esistenzialismo su tutti. Charles adorava l’altro Charles, era intossicato da Trenet, ma aveva molto amato in gioventù Chevalier, l’alter ego del vaudeville, l’attor cantante, dalla incontenibile allegria. Confessa di non aver mai dimenticato le sue origini armene, di aver letto Omar Kayyam e Sayat Nova, che suo padre cantava. Poi c’erano il jazz e Miles Davis, che entrava e usciva dal jet set parigino come in una porta girevole (fra Géco e Moreau), Paul Mauriat, Edit Piaf, la sua prima musa in nero de “La vie en rose”.

E Juliette Grèco che prese “Je hais le dimanches”, rifiutata dalla Piaf. La Francia non ha avuto crooner, aveva gli chansonnier, certo influenzati dal jazz. Maurice Chevalier era la loro risposta alla scuola americana e a Hollywood andò a girare dei film, Charles Trenet la sintesi perfetta fra le due culture. Serge Gainsbourg la loro beat generation. Mentre gli altri erano figli dell’esistenzialismo, Aznavour era stimato da Cocteau: “Come fa a rendere simpatico l’amore infelice? Con lui non lo è più. Prima di lui la disperazione era impopolare, con lui non lo è più”. Erano autori, grandissimi autori, in anni dove la musica attraversava il cinema, il teatro, i rotocalchi e la vita. Ognuno ha la sua firma, il pianoforte di Bécaud, la chitarra di Salvador, la grande orchestra diMauriat, che inventa un suono poderoso e sentimentale per Aznavour. Trenet sapeva cavalcare tutto, era la dolce Francia. Aznavour canta l’amore dei comuni mortali che non riguarda i playboy in azione fra Portofino e Saint Tropez. Il jazz è il binario, il treno la passione, il linguaggio “quello stesso dei gesti fisici dell’amore”, riconosce Maurice Chevalier. Credeva di essere un attor comico e si ritrovò chansonnier drammatico, da “Il faut savoir” a “On ne sait jamais”, “Je veux te dire adieu”. Racconta una vita a piedi nudi, con metafore e immagini spiazzanti. Ha sempre cercato di essere diverso da tutti gli altri, musicalmente e nei temi trattati, anche l’omosessualità. Molti giovani autori e interpreti francesi sono oggi influenzati da questo piccolo gigante. L’ultimo istrione.