San Colombano piccola Toscana

"Carica di storia e nobiltà" come diceva Veronelli. Due milioni di bottiglie all’anno e il sogno bianco Doc

San Colombano

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Non aveva dubbi Luigi Veronelli che, scrivendo dei vigneti di San Colombano al Lambro, li giudicava "carichi di storia e nobiltà". Meglio di uno spot. E che la riflessione del padre dell’enologia valga più di un’operazione di marketing è evidente. Comunque strameritata. Perché la micro-regione collinare che emerge come un’eccezione nel bel mezzo della Bassa è ormai la meta di una nutrita community di enoturisti e cultori del "bere bene". A ragion veduta. Perché i vini che arrivano dalle cantine sparse tra la famosa enclave milanese e i territori del Lodigiano (Graffignana) e del Pavese (Miradolo, Inverno e Monteleone) sono di assoluta qualità. Come ama ripetere Elisabetta Luciano, giovane sommelière della "Poderi San Pietro", che parla di San Colombano come di una "piccola Toscana", con i suoi rossi corposi e autorevoli, i suoi bianchi fermi, i suoi spumanti sorprendenti e i Passiti che non ti aspetteresti di trovare a 40 km da Milano. E non è nemmeno più una sorpresa. Almeno per chi non giudica il valore di una zona a forte vocazione enoica dai numeri che è in grado di sbandierare. Lo ripete anche Diego Bassi, titolare della storica azienda "Casa Valdemagna" ma anche presidente del Consorzio che tiene insieme una decina di aziende vitivinicole e dimostra come la relativa produzione di bottiglie (complessivamente 2 milioni l’anno) sia inversamente proporzionale alla curiosità che sta suscitando tra i wine lovers. Innanzitutto, grazie alla Doc di San Colombano: un rosso capolavoro che mette insieme il meglio di tre vitigni: il tannino elevato e astringente della Croatina, la gradazione alcolica e l’acidità del Barbera e la rotondità dell’Uva Rara.

Ma c’è tanto altro. C’è chi produce anche Croatina o Merlot in purezza, evoluzione naturale di una micro-regione enoica che crea un indotto da oltre 200 addetti; che ha visto migliorare in modo esponenziale la propria immagine, grazie a soluzioni innovative nella gestione delle cantine. E che sta incontrando l’interesse crescente dei ristoranti, specie quelli della capitale della moda e del design, sempre più stimolati a proporre ai loro ospiti il famoso "Vin de Milan". Un successo motivato. C’è chi produce dell’ottimo rosato Cabernet Sauvignon, chi commercializza Passiti che non hanno nulla da invidiare allo Zibibbo. E chi ha fatto dell’autoctona Verdea, considerata per secoli "uva da mensa", una sorta di "nuova bandiera", nella speranza che presto possa diventare – è il sogno di Diego Bassi – la vera denominazione "bianco DOC di San Colombano". Obiettivo visionario ma legittimo: "Il mondo sta cambiando anche a San Colombano– ripete il presidente del Consorzio – Lo si intuisce da tante cose. Perfino dalle etichette dei nostri vini, con la loro grafica sempre più diretta, fresca e subitanea, priva della pomposità di un tempo e invece ispirata al linguaggio moderno dei social". Segno dei tempi. Racconta di un porzione di Lombardia dove il ricambio generazionale è profondo. Dove i numeri sono modesti. Ma dove il vino è tanta roba.