L’amara guerra dei dolci non toglie la voglia di tortionata

Sulla famosa torta si era scatenata una velenosa bagarre commerciale. Ma nei locali i clienti fanno la fila per ordinarla (anche se con altri nomi)

La tortionata

La tortionata

Impossibile imprigionare i ricordi, la tradizione, le domeniche in famiglia e le feste tra amici, con quel dolce così popolare da valere la supplenza evocativa di un’intera città e del territorio che le sta attorno. E infatti, quando citi Lodi e serve un sinonimo per evitare la noiosa ripetizione geografica, ti aggrappi a quello più facile: "La città della Tortionata". Già, come se la strana parola che comincia con la "T" potesse essere usata liberamente. Certo che no. Perché quella torta così famosa e popolare da diventare un emblema della Bassa che sta sulla riva destra dell’Adda porta un nome che è diventato un vero tabù, almeno dal punto di vista commerciale, eredità di una rovinosa querelle tra due notissimi brand locali – Tacchinardi e Mazzucchi – sulla titolarità del marchio che ha anche tolto il piacere di andare nelle pasticcerie della città di Fanfulla e ordinare una confezione che riporti il riferimento esplicito alla meraviglia di farina, burro fresco, zucchero e mandorle. Peccato. Anche se conta la sostanza: passano gli anni, cambiano le generazioni, ma la Tortionata è e rimane il dolce più identitario del Lodigiano, ancorché identificato nelle denominazioni più stravaganti. Anche nel periodo natalizio, quando si fa sentire la concorrenza con i lievitati canonici del periodo (panettoni) e con altre specialità care al territorio a sud di Milano. Lo conferma Elena Vailati, da 8 anni titolare, con la figlia Marina, de “Il Nazionale“, locale-icona di piazza Vittoria, salotto buono di Lodi, che propone la sua versione dell’"innominabile" con la dizione “Ludesana“, 4 pezzature fino a 1 chilo, la morbidezza che assieme alla compattezza la rende diversa dalla mantovana Sbrisolona (più friabile) e la condivisione, nella hit parade della clientela, con altri dolci tipici come il "Morbidone", due cialde che chiudono una farcitura di crema di cacao. Pochi passi e in una città dal numero sorprendente di pâtisserie, il risultato è analogo: la clientela arriva al banco e ordina comunque "la Tortionata", perché almeno la libertà di parola è garantita, anche se ancora una volta viene presentato sotto altra veste. Alla Dolcemeta, delizioso locale di viale Pavia rilevato anni fa da Lucia Nappi che gestisce la storica “Masseroni“ in corso Roma, la chiamano "Torta di Lodi" ed è la star nelle vendite assieme ai simpatici "Alberelli di sfoglia". Alla “Lombarda“ di Federica Goglio, in via Garibaldi, viene presentata come "Torta tradizionale di Lodi", anche qui tallonata, per popolarità, da altre godurie locali come il "Gnam Gnam", biscottone croccante con le due cialde a chiudere la farcitura con cioccolato. E alla “Galbiati“ di piazza Castello porta il nome di "Mandorlata", goduria assoluta, appena davanti ai cannoli lodigiani con nocciole, albume, zucchero e cacao. Commento classico, raccolto in città: "Quello della Tortionata è un argomento delicatissimo e bordeline". Insomma, off-limits. Ma che non annulla il piacere liberatorio: entrare in una buona pasticceria; ordinare orgogliosamente l’oggetto dei desideri senza censura. Poi correre a casa e celebrarlo con il rito dell’inzuppo: nel vin santo; nella crema di mascarpone; nella cioccolata calda con chantilly. E negli auguri: di Buon Natale. Paolo Galliani