Campione di rugby e volontario: se stai male i soldi non contano

di Mattia Todisco

Tutto è nato da un incontro casuale tra Maxime Mbanda e Mario Furlan. Amici in comune li hanno messi in contatto e oggi il rugbista, che a Milano ha vissuto dai 3 ai 19 anni, è diventato un testimonial dei City Angels. "Con Mario c’è stato subito feeling. ho sempre visto le sue “giubbe rosse“ in giro per aiutare chi era in difficoltà, mi sono detto che mi sarebbe piaciuto aiutarli. Abbiamo tutti tempo libero e possiamo sprecarlo in frivolezze o dedicarci almeno in parte ad aiutare realtà che meritano di vivere meglio".

Cosa che lei ha provato a fare anche durante il lockdown.

"La pandemia è stata un evento forzato. Mi sono chiesto come avrei potuto aiutare la comunità a Parma, dove vivo e gioco. Ho fatto il volontario per la Croce Gialla. I miei genitori mi hanno insegnato ad aiutare il prossimo quando posso. Anche prima del Covid. A Casale Monferrato ho giocato nel Tre Rose, squadra di rugby fatta di rifugiati politici e richiedenti asilo che toglie i ragazzi dalla strada".

Milano può essere un esempio positivo in tema di integrazione?

"Parliamo di una città tra le più multietniche in Italia, molte persone ci vanno per avere successo e le culture si mischiano. Chiaro che è diverso rispetto al paesino di provincia. Ma il problema è alla base, anche di comunicazione: nelle notizie ci si sofferma molto più sulla provenienza del malfattore piuttosto che stigmatizzare l’episodio, tutto questo crea un circolo vizioso. La gente ha paura di uscire perché può succedere questo o quello in una zona mal etichettata".

Come via Padova, dove lei è cresciuto.

"Mi ha formato e ci torno spesso. Ho avuto diverse possibilità di prendere strade sbagliate, ma lo sport e i miei genitori mi hanno salvato. Sul campo da rugby sono sempre stato felicissimo e ci gioco da quando avevo 8 anni. Ma quando pensi di essere parte di qualcosa di divertente e poi scopri che non lo è, lì arriva il difficile: lasciare quelli che pensi siano amici e andare a giocare a rugby. Ora via Padova è cambiata, stanno cercando di farla rifiorire. Spero cambi ancora in futuro e che culture diverse possano convivere".

Qual è il primo passo da fare?

"Dare il vero valore alle cose importanti, come visto durante il lockdown. C’è stato un senso di unità incredibile, si pensava alla salute, alla famiglia, all’amore. I social hanno una colpa perché portano a millantare più che al reale valore delle cose. Capisci che l’auto più sgargiante o il vestito alla moda, se poi sale la paura di ammalarsi, non contano molto".

Cosa c’è nel futuro di Mbanda?

"Giocherò ancora per qualche anno e in futuro vorrei cercare di stimolare i giovani per provare a far passare determinati messaggi. Soprattutto, per migliorare il mondo dovrebbe passare di più l’idea che si può convivere e si può dialogare anche nello scontro. Non so se, terminata la carriera, staccherò dal mondo sportivo o no. L’importante è fare qualcosa che dia un esempio. Mio figlio Leone ha un anno e mezzo e sarà adolescente. La mia preoccupazione è anche per lui".