Rosino Verri racconta Gianni Brera: "Un socialista che amava i poveri"

Cugino, collaboratore, autista e amico, Verri conosceva il giornalista come nessun'altro. Dai suoi aneddoti emerge il ritratto del Brera uomo e professionista

Quando venne al mondo, il 6 maggio del 1932, nel borgo di San Zenone al Po, lo chiamarono Rosino in onore della nonna materna, Rosa Brera. Nonna Rosa era la sorella di Carlo, padre di cinque figli. Uno si chiamava Giovanni Luigi: Gianni Brera. Rosino Verri (il cognome della famiglia in origine era Verro, testimoniato da un documento del 1687) di Brera è stato non solo il cugino ma anche stretto collaboratore, autista, amico. «Gianni era maggiore di me di tredici anni. Eravamo poveri in canna. Suo padre era sarto ma siccome di vestiti riusciva a farne uno l'anno, quando andava bene, era anche parrucchiere. Mio padre faceva l'agricoltore e d'inverno, quando la campagna 'dormiva', diventava boscaiolo, il più bravo della zona. A San Zenone, una volta la settimana, arrivava da Belgioioso il triciclo di un gelataio. Quando mi trovavano in giro, Gianni e suo fratello Franco mi offrivano il gelato».

La guerra

Il difficile dopoguerra. Difficile per tutti, anche per il ragazzino bassaiolo che ha scarsa dimestichezza con i libri e la scuola. «Nel '46 sono andato a fare le scuole tecniche a Milano. Ero un lazzarone. Bigiavo. Nel '49 Brera è diventato direttore della Gazzetta dello Sport. La redazione era in un vecchio stabile in via Galilei, a centocinquanta metri da via Gustavo Fara, dove ero in pensione da mia zia. Avevo incominciato a interessarmi di sport. Andavo in redazione da Gianni e mi piazzavo nel suo ufficio a leggere la Gazzetta, ormai mi conoscevano tutti. Frequentavo anche casa sua, in via Canonica. L'antivigilia di Natale gli portavo il cappone. Lui voleva anche i ravioli, quelli che gli preparavano sua moglie Rina, le sorelle, la suocera, tutte le sue donne e tutte dedite a lui. Nel '52 ho dato la maturità da geometra non a Milano, ma a Pavia, all'Istituto Bordoni. Per quattro anni ho lavorato a San Zenone in uno studio tecnico commerciale».

Ma è in agguato un virus silenzioso e potente: si chiama giornalismo. «Brera è stato cacciato dalla Gazzetta. Si era in piena guerra fredda e la proprietà non aveva gradito che avesse esaltato il grande mezzofondista Emil Zatopek, cecoslovacco e comunista. Gianni mi ha chiamato: "Cosa fai al paese? Vieni a lavorare con me". Il lavoro era in un settimanale sportivo satirico che si chiamava Sport giallo. Era nei locali di Sport informazioni, un'agenzia giornalistica. Pilade Del Buono e Giulio Signori lavoravano lì ed erano anche gli unici redattori, gli altri erano collaboratori, tutti giovani allevati da Brera alla Gazzetta: Mario Fossati, Gianni Clerici, Gianmario Maletto». Saranno lo squadrone della redazione sportiva del Giorno.

«L'esperienza di Sport giallo è durata meno di un anno. L'editore Del Pelo, genovese, amico di Brera, si era spaventato per i costi. Intanto nasceva il quotidiano di Mattei, che aveva come socio l'editore Cino Del Duca, marchigiano come lui. Nel marzo del '56 ci siamo trasferiti tutti al Giorno. Abbiamo fatto i numeri zero. Il 20, 21 e 22 aprile abbiamo lavorato senza tornare a casa. Alla fine ci hanno accompagnato gli autisti con le macchine. Il Giorno è uscito il 21 aprile. Ogni redazione aveva il suo segretario. Io ero il segretario dello Sport, ma facevo un po' di tutto, come tenere i contatti con la composizione. Per un incontro di pugilato mi sono trasformato in telefonista. Del Buono mi dettava la cronaca ripresa per ripresa e io correvo a telefonarla al giornale. La prima edizione chiudeva alle otto e mezza di sera. La rotativa tirava solo 80 mila copie all'ora, forse meno». E Brera che capo era?  «Non si sentiva un capo. Non aveva niente di autoritario. Di sicuro esigeva, però senza farlo pesare. Gestiva il lavoro amichevolmente. Non l'ho mai sentito richiamare qualcuno. O se gli capitava di farlo era sempre in maniera bonaria. Era come se ognuno sapesse benissimo cosa gli veniva richiesto».

Brera e gli altri

Mario Fossati: «Grande cantore di ciclismo. Il più grande. Pignolissimo. Quando Anquetil si apprestava a tentare il record dell'ora, mi ha lasciato per una settimana al Vigorelli. Avevo disposizioni di seguire ogni intervento, ogni movimento di Masi, il meccanico del Vigorelli, tutto quello che faceva sulla bicicletta del campione. La prima volta si era presentato con una bicicletta di fabbricazione francese. Dopo circa 45 minuti abbandonò, scese dalla bici e vomitò verde. Per il secondo tentativo si era rivolto a Masi, che era un mago delle bici da pista e gliene aveva costruito un'altra. A distanza di una settimana Anquetil battè il record». Gianni Clerici: «Altruista. Generoso. dopo essersi laureato, a Urbino, comparve in auto e gettò in strada i libri». Gianmario Maletto: «Estroverso, un bravissimo ragazzo». Pilade Del Buono: «Uno sgobbone terribile. Arrivava il momento che non ne poteva più e allora mi chiedeva di fargli un massaggio alla schiena. Come ringraziamento mi invitava a cena al Bolognese». Giulio Signori: «Era il 'bello' della redazione, sempre tirato a lucido, elegante».

«Brera era onesto, generoso. Teneva in modo assoluto alla sua indipendenza di giornalista. Ero in casa sua in una delle anti vigilie di Natale, quelle del cappone e dei ravioli. "Verr, dam una man a scartà". Fra noi parlavamo sempre in dialetto. Abbiamo cominciato a scartare i regali. "Giuvann, guarde, l'è un Rolex". Un regalo di Angelo Moratti, presidente dell'Inter. Lui ha dato una voce alla Rina perché richiamasse il fattorino. Quando l'ha avuto davanti gli ha restituito il regalo. Un'altra volta siamo andati all'Assassino, il ristorante che era un covo di milanisti, Brera, Moratti e io. Il conto l'ha pagato Gianni. Era amico di Moratti e della sua famiglia, ma non voleva sentirsi in obbligo».

Rosino passa a dirigere con Fabrizio Falsaperla il reparto fotografico del Giorno, una squadra forte di quattordici "mastini" dell'obiettivo. Il legame con il cugino-amico va avanti. «Si andava a caccia insieme. Aveva un'auto, una Ford Escort. Non voleva guidare e allora ero io a mettermi al volante. Era amico da molti anni di Marta Marzotto, che lo aveva invitato a degli incontri con i Lions del Friuli. Era il 1974. Portogruaro. Cena. Parola a Brera. Domande. Si è alzato uno degli invitati, uno notaio siciliano. "Dottor Brera, cosa ne pensa dei vini siciliani?". Gianni, che aveva sempre la risposta pronta, ha esitato un attimo. Poi ha risposto: "Dottore, penso che siano vini da delitti d'onore". Il notaio si è sentito offeso e lo ha sfidato a duello. "Brera, lei ha offeso tutta la Sicilia. Riceverà i miei padrini". Poi tutto si è risolto. Sempre a Portogruaro. C'era un signore, un grosso commerciante di pesce. Ha descritto a Brera com'era vestito una sera, a Budapest, per una partita dell'Inter. Era un fan di Brera, lo seguiva dovunque. Prima guardava Brera e poi guardava la partita».

Fino al 19 dicembre del 1992. L'ultima cena, l'ultima sera, a Codogno, l'ultima curva di Gioanbrerafucarlo. «Mi aveva invitato a fargli compagnia. Ero stato costretto a declinare. Lavoravo con Enzo Biagi al Fatto, sono stato con Biagi per quarantadue anni. Dovevamo preparare uno speciale. La mattina dopo mi ha chiamato mia cognata: "È successa una disgrazia"».

Chi era Brera? «Aveva una cultura a 360 gradi. Non c'era un argomento in cui non fosse preparato. Amava i poveri. Si riconosceva in loro perché era nato povero, da giovane aveva tirato la cinghia. A San Zenone l'acqua corrente era arrivata nel 1973 o nel '74. Erano arrivati anche il bagno e il cesso. Ai tempi nostri il cesso era in un angolo della letamaia, in mattoni, il più delle volte di assi. Politicamente era un socialista, non poteva essere diversamente. Certo gli piaceva vivere bene, come piace a tutti. Diceva che una delle sue conquiste era quella di fare la doccia tutti i giorni. Da giovani facevamo il bagno in un mastello la domenica mattina».

Brera e San Zenone. «Un rapporto direi di amore-odio. Da parte sua c'era l'amore per il paese, gli amici, i coetanei, non molti per la verità. Quando ha voluto farsi una villa in paese qualche sanzenonese importante si è messo di traverso. Così Brera la villa l'ha costruita a Bosisio Parini. Nessuno è profeta in patria, dicono i Vangeli».