Valtellinesi sul Manaslu: "Che avventura"

Il racconto di Marco Majori e Federico Secchi dopo aver scalato ed essere scesi sugli sci dalla vetta di 8.163 metri senza ossigeno né sherpa

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di Federico Magni

Nell’aria sottile dell’alta quota, senza ossigeno e nemmeno portatori sherpa. Marco Majori e Federico Secchi, con la scialpinista polacca Anna Tybor, erano gli unici ad affrontare gli 8.163 metri del Manaslu, potendo contare esclusivamente sulle proprie forze e sulla loro esperienza di guide alpine. Qualche giorno dopo l’annuncio della vittoria sulla splendida vetta himalayana (caratteristica per le sue due cime e conosciuta anche con il nome di “Montagna dello Spirito“), l’esperienza dei due valtellinesi appare ancora più sorprendente, mentre dal Nepal arrivano gli ultimi dettagli di ciò che è accaduto sul Manaslu alla fine di settembre.

"È stata un’avventura, soprattutto le due notti che abbiamo trascorso al campo 4 a 7.400 metri senza sacco a pelo", raccontano Marco Majori, classe 1984, di Bormio e Federico Secchi, classe 1992 di Valfurva, entrambi guide alpine, mentre si riposano in un albergo di Kathmandu al termine della spedizione che si è conclusa nel migliore dei modi. "Fortunatamente è andato tutto bene. Aveva nevicato nei giorni precedenti all’attacco alla vetta. Poi il manto nevoso si è stabilizzato e abbiamo deciso di salire - spiegano i due -. Non ci sono stati imprevisti, ma a un certo punto abbiamo pensato anche a un tentativo “one push”, in velocità e leggeri. Poi le cose sono andate diversamente, soprattutto perché avevamo l’incognita degli sci e dovevamo salire con gli scarponi da scialpinismo che non è esattamente la stessa cosa. Avevamo il peso dell’attrezzatura e delle tende, senza nessun aiuto, e abbiamo dovuto modificare in corso d’opera i nostri progetti. Questo ha destabilizzato i nostri piani e ha reso tutto un po’ più complicato. Fortunatamente le condizioni della montagna sono state sempre buone e questo ha compensato un po’ le difficoltà". Con 170 permessi staccati solo per questa stagione agli alpinisti delle spedizioni “commerciali“ che salgono con ossigeno e l’aiuto degli sherpa, i due alpinisti valtellinesi e l’amica polacca erano gli unici a muoversi in completa autonomia. Le incognite principali le hanno incontrate soprattutto in alta quota. "Abbiamo affrontato due notti un po’ sguarniti - continuano - Senza sacco a pelo a 7.400 è stata dura. Però abbiamo tenuto duro. Forse a pensarci ora saremmo dovuti scendere. Ma abbiamo continuato. Il 29 settembre alle 16 eravamo in vetta. Abbiamo iniziato la discesa mentre c’era ancora un po’ di luce, ma quando siamo ritornati al campo 4 era già buio. Abbiamo affrontato un’altra notte nelle stesse condizioni di quella precedente, poi al mattino abbiamo smontato tutto e siamo scesi. Siamo riusciti a sciare tutta la montagna. Solo qualche “calata” in corda doppia nella parte finale e siamo arrivati sani e salvi al campo base".