Valfurva, dal freezer della memoria rispunta la guerra

Con lo scioglimento i ghiacciai continuano a riemergere reperti del Primo conflitto mondiale. L’appello degli esperti: "Non toccateli"

Uno dei tre celebri cannoni che si trovano ancora oggi in buono stato non distante dal rif

Uno dei tre celebri cannoni che si trovano ancora oggi in buono stato non distante dal rif

Vlafurva (Sondrio), 24 ottobre 2020 -  ll ghiacciaio è entità fisica in continuo movimento che conserva i reperti storici come una capsula del tempo e con il suo scioglimento ce li restituisce. È successo con la famosa mummia di Simulan (Otzi) sull’omonimo ghiacciaio, con le ossa umane avvolte in una bandiera in Presena, con la mummia di camoscio di 400 anni in Val Aurina. Avviene continuamente ad esempio sui ghiacciai dell’Adamello, del Zebrù e del Cevedale dove riaffiorano centinaia di reperti bellici della prima guerra mondiale. I tre cannoni che fanno capolino ai margini del ghiacciaio che si estende davanti al rifugio Casati sono diventati celebri, ma quei ghiacci, teatro di aspri combattimenti, continuano a restituire una grande quantità di reperti bellici fino a poco tempo fa nascosti.

Alla fine dell’estate la Commissione Glaciologica Sat ha diramato un appello alla cautela proprio nel momento in cui i ghiacciai raggiungono la fase finale del processo di fusione a seguito dell’elevazione delle temperature nei mesi estivi. "In questo periodo è facile per chi frequenta ghiacciai ed aree periglaciali imbattersi in reperti di vario tipo che vengono alla luce dopo esser stati coperti da neve e ghiaccio per decine o centinaia di anni – scrive la Commissione Sat –. Come comportarsi nel caso in cui ci s’imbatta in simili reperti? La prudenza, ma anche la normativa di riferimento raccomanda di non toccare, non prelevare e di avvisare le autorità competenti. I motivi sono molteplici: toccare reperti di tipo archeologico ne può compromettere lo stato ed incidere sulla sua conservazione; sono patrimonio dello stato e non vanno asportati. Toccare, coprire o asportare reperti bellici può essere una pratica tanto innocua quanto pericolosa per il residuo rischio che questi esplodano. Raccomandiamo quindi la massima prudenza".

Ma perché proprio ora i ghiacciai ci restituiscono i reperti della Prima guerra mondiale? "Dalla fine dell’ultima espansione glaciale conosciuta come PEG (Piccola Età Glaciale) attorno al 1850, i ghiacciai hanno lentamente iniziato una fase di ritiro alternata da più brevi ma significative fasi di crescita - spiega il presidente della Commissione Glaciologica Cristian Ferrari -. Durante il primo conflitto mondiale nelle zone di alta montagna fin quasi ai 4.000 metri in una delle zone più “glacializzate” delle Alpi si sono concentrate una serie di operazioni belliche che hanno interessato la superficie dei ghiacciai, ma anche il corpo degli stessi con la costruzione per esempio di intere reti di gallerie come nel ghiacciaio della Marmolada (la famosa Eisstadt) o in altri ghiacciai del gruppo Ortles Cevedale ed Adamello Presanella". "La realizzazione di tali opere – continua Cristian Ferrari- ha trovato inoltre favore nell’elevato spessore di alcuni corpi glaciali che dalla fine delle operazioni belliche hanno invece perso una gran parte della massa con ritiri molto importanti delle fronti anche di alcune centinaia di metri in alcuni ghiacciai, di pari passo dal periodo post bellico è andata avanti anche una riduzione degli spessori che ha raggiunto parecchie decine di metri".

Secondo gli esperti infatti le condizioni meteo-climatiche dell’inverno 1916-1917 furono inoltre particolarmente avverse e ricoprirono i ghiacciai di svariati metri di neve causando anche ingenti perdite sui fronti per colpa delle valanghe, queste, oltre alle battaglie ed al naturale movimento del ghiacciaio hanno nel tempo “sparpagliato” molti reperti anche nelle zone a valle dei punti di combattimento.